giovedì 26 agosto 2010

I killed Bambi

Uscimmo dai confini del ranch per seguire un pezzo di I-191.
Erano le sette e mezza e a quell’ora la strada era quasi sempre deserta. L’asfalto era liscio e compatto e si allungava nel suo nastro di antracite, rimpicciolendo, fino a perdersi in una lontananza aguzza. Gli zoccoli dei cavalli ne percuotevano la superficie con vibrazioni che mi facevano male alle chiappe. Intorno, i cespugli di indian paintbrush evaporavano macchiando di rosso la nebbia azzurrina che restava sospesa e impregnava l’aria dell’odore della notte.
Più avanti, sulla nostra destra, vedemmo qualcosa. Cane ci aveva preceduto e stava annusando con frenetico interesse, girando attorno alla massa scura, sul crinale del fosso, a pochi metri da noi. Ci fermammo a guardare: era la carcassa di un’antilocapra. Era stata investita da un’auto e l’urto l’aveva scaraventata nel canale. Se non fosse stato per un rivoletto di sangue che le macchiava il mento, avresti detto che era impagliata. Che qualcuno l’avesse presa dal proprio salotto e l’avesse gettata dal rimorchio del pick-up, sul ciglio della strada, come un vecchio trofeo di caccia di cui disfarsi. Aveva ancora gli occhi aperti, di un nero profondo, ma spento, come di vetro opaco. Bellissimi, nonostante la morte. Le ciglia, lunghe e arricciate, mi diedero l’impressione che si fosse truccata in vista del suo incontro fatale. La testa, con le piccole corna, reclinata all’indietro, in una posa innaturale, sembrava guardarci come a chiederci conto del perché si trovasse là dentro, improvvisamente morta, invece che sui prati, a brucare l’erba.
-Che morte del cazzo- fu il commento di Josh.
-Deve essere successo da poco- dissi io -ieri non c’era.
-Stai vicino al bordo- disse Josh -occhio, che se arriva una macchina…- aveva sempre un atteggiamento protettivo nei miei confronti, che a volte mi disturbava -e fa’ star buono quel cane, o finisce anche lui spiaccicato.
-Ce n’è sempre una o due stecchite la mattina, da qualche parte, qui intorno.
-C’è chi se le carica sul pick-up e le scarica nel freezer.
Poi aggiunse:
-Beh, l’ho fatto anch’io, il mese scorso- confessò -il tizio della roulotte vicino, Stan Witkiewicz, hai presente? Mi aveva invitato a un barbecue, e non volevo arrivare a mani vuote.
Difficile scordarsi quel tipo, un uomo grosso, biondo, con dei baffi spioventi. Faceva il bagno, nudo, fuori, in pieno inverno, con la neve e tutto quanto, in una tinozza di zinco nella quale non riusciva neanche a stare seduto.
-Allora sono andato a Trapper’s Point.
L’interstate, in quel punto, aveva tagliato, e di fatto interrotto, il tragitto che le antilocapre percorrevano nei loro spostamenti migratori. Era stato costruito un ponte, con l’intento di permettere loro di passare sotto la strada, ma gli animali non capivano.
Arrivavano fin lì, si imbattevano in uno steccato, e vagavano fino a trovare un varco, che li portava inevitabilmente sulla interstate, dove passavano i veicoli, lanciati. Se avessimo continuato, ne avremmo incontrati altri. Corpi senza vita, col pelo impiastricciato dalla morte, sulla ghiaia della massicciata, trasformati in macchie più o meno grandi, a seconda del tempo trascorso. Capitava ogni giorno. Le macchine arrivavano nella notte, con i fari sparati nel buio mentre gli animali attraversavano. Se li trovavano davanti, abbagliati dalle luci e thump. Fine della corsa.
-Quando sono arrivato c’era… un turista, credo, con un accento… italiano o giù di lì. Gridava come un disperato: “Ucciso Bambi, ucciso Bambi”.
-Che cazzo voleva dire?
-E che ne so. Aveva appena investito un’antilocapra.
Si strinse nelle spalle.
-“Che problema c’è?” gli ho chiesto. Ma lui continuava con quella lagna. “Non la vuoi?” gli ho detto “la prendo io. Per il barbecue, capisci”. Non so se ha afferrato, comunque io l’ho caricata e l’ho portata a Stan. A lui è piaciuta.
Rise divertito, poi smise di colpo.
Rimanemmo a guardare l’antilocapra ancora per un po’, poi uscimmo dalla strada. Proprio una morte del cazzo.

Aldo Quario

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