giovedì 16 luglio 2015

C’è posto sulla collina

Fammi mandare Laura, disse il direttore nel citofono. La biondina, quella nella postazione in terza fila. La segretaria riappese. Aveva capito. Il direttore si alzò e si stirò, riavviò i capelli con le mani e si sedette di nuovo. Bussarono alla porta. Avanti, fece. Entrò una biondina, in camicetta bianca e gonna nera, i capelli raccolti, aria timida. Molto carina. Entra bella, le disse. Entra pure. Siediti. La ragazza si sedette. Era visibilmente intimorita. Al direttore venne da leccarsi le labbra ma si trattenne. Ti ho chiamata per darti la busta paga, le disse. Quella rimase di sasso. Fece per dire qualcosa ma il direttore la anticipò. Ti stai chiedendo perché ti ho chiamata da me invece di fartela consegnare dalla segretaria, le chiese. Il sorriso scomparve dal volto del direttore. Attore consumato. Il fatto è che c’è un problema, purtroppo. La ragazza arrossì lievemente. Io... accennò. Ho rilevato un calo del tuo rendimento, la zittì il direttore. Aprì una cartella che teneva sul banco. Hai chiuso molti meno contratti questo mese. Un calo… scorse un foglio. Un calo di quasi il quindici per cento. Del dodici, per la precisione. Sbaglio? Le chiese. La fissò per qualche secondo. Lei fece per dire qualcosa. Non sbaglio, disse il direttore tornando con lo sguardo sul foglio. È scritto qui, e picchiettò sul foglio con l’indice. Guardò di nuovo la ragazza. Hai chiesto un permesso di mezza giornata… per accompagnare tua madre dal dottore, vedo. O no? La ragazza annuì nervosa. Mia madre stava male... riuscì a dire.  Lei… La tua scrivania è sempre in disordine, mi ha detto la tua responsabile. Mi ha detto anche che vai in bagno molto più spesso di prima. E poi su, cos’è questa sciatteria nel vestire? I clienti lo sentono che non sei curata, anche se non ti vedono. Lo sai. La ragazza aveva gli occhi lucidi. Tesoro, non possiamo permettere che i tuoi problemi personali creino problemi sul lavoro. Noi siamo una squadra. Se un elemento si guasta si guasta tutta la squadra. E la squadra deve filare, noi siamo un treno super veloce, siamo un branco di squali no? Noi siamo i migliori sul mercato e perché siamo i migliori sul mercato? Perché… rispose la ragazza ma la frase le si troncò in gola. Deglutì. Perché chiudiamo più contratti degli altri! O no? Disse il direttore a voce alta. La ragazza aveva un accenno di lacrime. No, no, Lauretta bella, ora non mi scoppiare a piangere. Su. Non ti mando a casa. Non ancora. Perché io in te ci credo. Sei una dei miei migliori elementi. Ma qua non sono ammessi passi falsi. Là fuori è una giungla, lo sai. Sai anche che ci sono una cinquantina di ragazze in fila per prendere il primo posto che si libera. Il tuo, posto. Lo sai. Ma io ho deciso di darti una mano. Il direttore tonò a sorridere, di punto in bianco. Io non ti mando via. Ti voglio motivare. E per motivarti ho deciso che questo mese ti trattengo lo stipendio. Va bene, tesoro? La ragazza aveva il rimmel sciolto dalle lacrime. Puoi andare, tesoro, le disse. Prenditi un caffè. E vai a rifarti il trucco. La ragazza annuì. Si alzò in piedi. Grazie, mormorò, e fece per uscire. Laura, Cristo di un Dio, ma dove cazzo vai, disse il direttore. Torna qua. Siediti su. Le passò un fazzoletto fine preso da una scatola. Asciugati le lacrime, le disse. Ti ho appena detto che ti trattengo lo stipendio e tu mi hai ringraziato. Ti rendi conto? La ragazza non sapeva più che dire. Non che fino ad allora avesse detto molto. Tu mi avresti dovuto sbranare, bella! Mi avresti dovuto minacciare di bruciarmi la macchina, sparare ai miei figli, andare dai sindacati! Io ti voglio aggressiva! AG-GRES-SI-VA, capisci? La ragazza lo guardava. Aveva occhi enormi per le lacrime e lo stupore.  Come fai a mangiare vivi i clienti se ti fai mettere i piedi in testa così, bella mia? Devi combattere. Lottare. LOT-TA-RE, capito? La ragazza annuì. Dimmi che hai capito, le disse. Ho capito, rispose lei, con la voce più ferma possibile. Il capo le sorrise. Le porse la busta. Ora puoi andare. Sul serio. La ragazza accennò un sorriso, prese la busta e uscì. Il capo si stirò e tirò fuori una canna già rollata dal primo cassetto. Mise su “Working Class Hero” di John Lennon e distese le gambe sulla scrivania. Appiccò la canna. Gli piaceva quella canzone. Specie quando diceva “There's room at the top I'm telling you still/but first you must learn how to smile as you kill/if you want to be like the folks on the hill”. Anche Lauretta gli piaceva. Se la sarebbe fatta entro il mese seguente. Un’altra tacca sul calcio della pistola. Sputò il fumo della canna verso il condizionatore. La ventola se lo mangiò. 

Filippo Rigli

1 commento:

  1. ti voglio AG-GRES-SI-VA.... bello questo racconto vissuto sulla propria pelle

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