martedì 5 novembre 2013

Vernissage

Agata aprì l’indirizzario. Seguì l’ordine alfabetico e avviò in modo meccanico l’inserimento dei nomi all’invito e.mail per il vernissage. 
Non sapeva trarre piacere dal gesto di rendere visibile il suo lavoro. 
Lavoro? Era possibile definire tale un fare che non procurava reddito?

Mentre si poneva la domanda passò in rassegna la lettera A per passare alla B e quindi a tutte le biblioteche che frequentava. 

C’era in lei un dibattito interiore molto acceso in merito a cosa potesse essere considerato lavoro. All’attività creativa dedicava un tempo illimitato nell’economia di una giornata, tutti i sensi erano proiettati a memorizzare qualcosa che potesse essere di ‘fondamentale importanza’. Non era impiegata presso un qualche studio grafico e non aveva una bottega d’arte: per vivere faceva altro. Aveva delle ritrosie a definire artistiche le proprie produzioni. 

Le dita digitarono con svogliatezza la lettera C, che a ben vedere era quella con la maggior presenza di nomi: sorrise alla quantità di C tra i suoi contatti! 

Non sapeva valutare la presenza o meno di un certo ‘respiro’ nelle sue opere. 
Erano stati gli amici a coinvolgerla nei loro eventi, perché trovavano in lei un valore. 
Valore? In realtà ciò che la entusiasmava e le faceva perdere il contatto con la quotidianità non era il rapporto con il pubblico, era l’atto creativo in sé. 
I complimenti per lei contavano solo in rapporto alla quantità e alla qualità d’immersione dedicata a ciò che poteva essere considerato un ‘risultato’: un’immersione sollecitata dalla curiosità totalizzante di verifica, non sul piano estetico, ma su quello della complessità espressa nella semplicità di un’emozione. 
In ciò risiedeva e aveva luogo la bellezza, a parer suo. 

Assorbita da questo tipo di riflessioni, aveva perso il filo dei nomi. Rilesse con stanchezza quelli già memorizzati e riprese dalla lettera D

Questo sistema di relazione con l’atto creativo aveva la capacità di farla sentire vicina a un senso di assoluto: quando chiudeva un qualsiasi ‘inizio’, la invadeva un senso di liberazione e di vuoto allo stesso tempo. Liberazione perché ‘creare’ era una forma di risposta a una domanda propulsiva interiore molto forte, che comprimeva mente e membra in un ammasso informe; di vuoto perché quando il prodotto concluso veniva messo ‘in mostra’ era come vivere un distacco da qualcosa di caro: non ci si apparteneva più. 
Essere immersi in qualcosa che avesse a che fare con l’arte significava sperimentare costantemente il ‘limite’, secondo lei; ma quel ‘limite’ aveva la possibilità di moltiplicarsi nell’infinito. 

Distrattamente premette la G invece che la E
Si fermò bruscamente con gli occhi lucidi. 

Gli indirizzari elettronici non hanno memoria dello stato anagrafico di un contatto, mantengono vicini vivi e morti; un po’ come le opere d’arte, non hanno memoria dei legami affettivi. 
Cancellò rapidamente tutti i nomi selezionati sino a quel momento. 
I pensieri trovarono una nuova prospettiva.
L’invito per il vernissage fu inviato a quell’unica G

Era chiaro, non avrebbe potuto ricevere risposta, ma aveva ancora un modo per parlargli di sé, e di loro, in un nuovo stato di vicinanza.

Roberta De Piccoli

2 commenti:

  1. allora...1: chi è Agata?, 2: chi ha ucciso G ?, 3: dalla H alla Z non c'era nessuno? che so...un Hector, Martin, Petra, Zaratrusta...forse lo scopriremo al prossimo episodio....aspettiamo impazienti VERNISSAGE 2 la vendetta!!!!

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  2. Mi piace perchè è un'istantanea della tua vita interiore colta in un attimo qualunque della tua giornata. Mi piace pensare che l'attimo dopo, cambierebbe del tutto, la penseresti in modo dl tutto diverso circa il significato e l'importanza dell'arte e della creatività nella tua vita e forse di quel G non te ne fregherebbe niente. E neppure di dover dare a tutti i costi una spiegazione al tuo modo di essere.

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