Città del Vaticano, 10 settembre 1978.
Il sonno del Santo Padre non è sereno come al solito. Il continuo rigirarsi nel letto avviene con movimenti lenti, quindi non è causato da un incubo.
Finalmente apre gli occhi, si mette in posizione supina e cerca di scacciare quella sensazione di angoscia che gli grava sul petto. Va subito meglio ma la sensazione di disagio persiste, come se qualcuno, una presenza inopportuna, disdicevole, fosse lì, in quella stanza.
Si tira un po’ su, si sistema un cuscino dietro la schiena, vorrebbe accendere la luce ma l’interruttore, come del resto anche il campanello per chiamare la sua assistente, non sono a portata di mano.
"Che ora saranno?" si chiede.
Lentamente volge la testa e, nel buio della stanza, gli sembra di vedere qualcosa, una forma o un profilo: senza occhiali non distingue bene.
«Chi c’è?»
«Sssst! Santità, parli piano» risponde una voce femminile, dal tono dolce.
« Chi sei?» chiede il papa con voce agitata, mentre si sposta rapido verso il bordo del letto, dove ci sono occhiali e interruttori.
Improvvisamente, come illuminata da luce propria, appare una suora. È seduta poco distante dal suo letto e sembra intenta a ricamare.
«Lasci perdere la luce e parli piano, suor Vincenza potrebbe sentirla e venire a vedere di cosa ha bisogno, e non è bello che veda il Santo Padre parlare con… nessuno.»
«Come osi dirmi quello che devo o non devo fare?» protesta il pontefice.
La religiosa si alza, appoggia il centrino sulla sedia, raggiunge i piedi del letto e da lì guarda il Papa intimorito e agitato.
«Si tranquillizzi Santità, non deve temermi, anzi. Io sono qui per aiutarla e non per farle del male.»
«Chi sei? Un fantasma, un angelo o cosa?»
«Sono suor Paola, dell’ordine delle Benedettine. Ma non importa chi o che cosa sono: quello che conta è che io sia qui. Vede, Santità, io ho visto passare papi a partire da Pio IX, e di cose ne ho viste e sentite tante.»
«Cosa vuoi da me?»
«Che oggi all’angelus non dica quella cosa che ha scritto e che lasci perdere quello che ha in mente per lo IOR. Evitare questa due cose le salverà la vita.»
«Ma cosa dice! Io sono il papa!»
«E allora? Lei pensa che per quella gente abbia una qualche importanza? Santità, se lei non lo sa glielo dico io: la sua elezione è stato solo un incidente di percorso e il suo pontificato è destinato a durare poco, qualche anno, giusto il tempo di dare credibilità alla sua elezione. L’idea è quella di farla dimettere per motivi di salute o farla passare per matto, e quello che dirà stamattina dalla finestra è perfetto per il loro scopo. Mi dia retta, lasci perdere, trovi una scusa e si dimetta, solo così avrà salva la vita.»
«Non ci penso nemmeno! Se poi fosse come dici, allora che sia fatta la volontà del Signore.»
«Santità, sarebbe meglio dire: sia fatta la volontà di quei signori.»
Il pontefice accenna a una risposta, ma la suora si risiede e ricomincia a ricamare mentre la luce che la illumina sfuma fino a sparire.
Il papa, incredulo, stenta a capire se quello che ha vissuto è accaduto davvero oppure è parte del sogno che si è interrotto con il suo risveglio.
L’orologio segna le tre e ventiquattro. Si alza e va alla scrivania, prende i fogli che prima di coricarsi ha raccolto in una cartella, e rilegge con attenzione quello che ha scritto; poi riflette su quello che il fantasma –o la coscienza che fosse– gli ha detto.
Alle cinque in punto, suor Vittoria entra nella stanza con in mano il vassoio con il caffè.
Di fianco al papa affacciato alla finestra nel momento dell’Angelus, c’è suor Paola. A parte il pontefice nessuno può vederla e tantomeno sentirla supplicare affinché rinunci a quello che di lì a poco dirà.
Prima dell’inizio, un leggero tentennamento lascia sperare suor Paola poi, invece: « …noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore. Con questi sentimenti io vi invito a pregare insieme al Papa per ciascuno di noi, per il Medio Oriente, per l’Iran, per tutto il mondo…»
Lo sgomento, dietro le spalle del papa è paralizzante mentre suor Paola, con le braccia alzate, scompare gridando: “Niente! Tutto come prima! Non ha cambiato una virgola!”
Sono passati tre giorni dall’angelus e le polemiche non si sono ancora attenuate. Il papa è sereno, ancor di più perché da allora suor Paola non si è fatta più vedere. Quella notte però, alle tre e ventiquattro, una luce azzurrina sveglia il papa. Egli, con naturalezza, accende la luce e inforca gli occhiali: «Cosa c’è, sorella?» chiede, come se parlasse alla sua governante.
«Deve dimettersi, non ha alternativa. Se non lo farà lei, la metteranno in condizioni di farlo. Far passare per pazzo qualcuno è la loro specialità. Insomma, faccia qualcosa!»
«Cosa vuoi che mi succeda? Sono sicuro che il papa non corre alcun pericolo. Adesso vattene e lasciami dormire.»
27 Settembre 1978, ore 23 circa.
Nella camera da letto, sulla scrivania, c’è il vassoio con la tazza colma di camomilla. Il papa, mentre si dedica alla lettura di alcune carte, sorseggia l’infuso tiepido.
28 Settembre 1978, ore 05:25
Suor Vittoria, come tutte le mattine, entra nella stanza del Pontefice. La luce dell’abat-jour è accesa e il Santo Padre, con dei fogli in mano, sembra intento alla lettura. È immobile, diafano, come una statua.
Marcello Tropea
Alla luce di quello che è emerso negli ultimi tempi e con le dimissioni del Santo Pontefice, un brano così mi lascia senza parole! Complimenti all'autore.
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