Anche il mio cuore indurito dal pacifismo si emoziona al passaggio degli aerei militari. C'è qualcosa di primordiale, in loro. Qualcosa che arriva in profondità.
Del resto, la mia carriera di pacifista ha subito degli intoppi.
Francesco, il mio terzo figlio, all'età di sei anni ha sviluppato una sorprendente passione per le armi da fuoco. I nonni gli sono venuti incontro regalandogli armi giocattolo per adulto. Sparano pallini rigidi che se ti prendono nell'occhio ti accecano.
Mia moglie Domitilla ha detto: “Parlaci te con Franci, spiegagli che la violenza è un male e nascondigli le armi, buttale via. Alla fine capirà”.
Detto fatto.
Il risultato sono alcune fotografie che mi ritraggono mentre faccio il gesto di mirare. In una ho anche la punta della lingua che spunta dall'angolo della bocca. Atteggiamento involontario che segnala il mio massimo entusiasmo. Con Francesco abbiamo fabbricato un bersaglio di cartone per esercitarci in camera. Il mio sogno è sparare alle suore del convento qua accanto, mirando al vestito. Ogni tanto andiamo a sparare all'aperto, quando fa buio. Alcune delle armi in nostro possesso sono dotate di un puntatore laser, quel punto rosso che brilla nella notte - anche se non ti porta mai a beccare il bersaglio - ci piace molto.
I momenti in cui io e Francesco, imbracciando due armi diverse, miriamo insieme lo stesso bersaglio contemporaneamente, sono momenti di autentica comunione spirituale. Non saprei spiegarlo. Si vede che l'uomo ha passato così tanti secoli cercando di colpire un bersaglio che questa cosa è entrata dentro di lui.
In quegli attimi tutto si fa sospeso e concentrato, è una specie di preghiera.
Pochi mesi fa è morta Berta, il mio cane. L'ho portata sul poggio accanto a casa per seppellirla. Ma la terra era dura e i risultati raggiunti dopo mezz'ora non erano incoraggianti. E' passato Baio. Non è giovanissimo e non sembra neanche il più possente degli individui. Però fa il giardiniere.
“In quel punto non la scaverà mai, mi ha detto” e ha fatto cenno che faceva lui.
Non ha dato particolari segni di interesse di fronte al corpo di Berta. Si è messo prima a zappettare e poi a scavare con la pala sotto un olivo.
Sono andato a prendere un'altra pala per aiutarlo, per darmi un contegno. Sono riuscito a dargli un colpo di pala sul piede.
Baio si è affrettato a spiegarmi che non aveva bisogno di aiuto. Allora tiravo via qualche zollona di terra con le mani.
Quando tutto si è concluso ha detto:
“Dal niente veniamo e al niente torniamo”.
Devo dire che mi ha colto alla sprovvista. Baio passa più per un uomo d'azione che per un teologo. Non so cosa ho risposto. Ma non doveva essere molto interessante, perché ha continuato:
“Anzi non è vero che veniamo dal niente: veniamo da milioni di spermatozoi”.
Ero veramente interdetto: che il discorso virasse sul pornografico? Non ero dell'umore adatto.
“Chi sceglie lo spermatozoo che sopravviverà? Ha continuato. Questo è il punto. Qualcuno sceglie lo spermatozoo”. Ha carezzato l'ulivo e ha concluso: “Il prossimo anno mangeremo le olive di Berta”.
Quando è andato via sono rimasto lì. Pensavo a Berta e a chi sceglie lo spermatozoo. A un certo punto la collina ha tremato e sono apparsi gli aerei militari, come angeli corazzati.
Quel giorno c'era l'esibizione delle Frecce Tricolori, la squadriglia acrobatica dell'esercito italiano. Mi hanno detto che su Firenze hanno fatto solo alcuni passaggi. Invece sulla collina di Berta venivano di continuo per sistemarsi, per riorganizzarsi. Era un po' come il teatro dietro le quinte. Stazionavano sopra di noi. La terra vibrava, risuonava all'unisono coi loro motori.
Dato che non erano in fase di esibizione non emettevano quei fumi rossi bianchi e verdi che non apprezzo.
In linea di principio a me delle Frecce Tricolori non importa niente. Ma quei così lì sopra di noi, come angeli armati, non erano più le Frecce Tricolori: erano un'apparizione.
A Francesco (che ha visto gli aerei dalla finestra della scuola) ho detto che quell'esibizione l'avevo organizzata io per Berta. Ma dentro di me ho concluso che era un saluto militare di Dio a Berta.
Enzo Fileno Carabba
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