« Non sono stato io, non sono stato. Io l’ho trovato così, Lo giuro, non sono stato io …»
« La vuoi finire con questa cantilena? Abbiamo capito che non sei stato tu, adesso però lasciaci dormire e non rompere i coglioni.»
«Non sono non stato io, non sono stato io, l’ho trovato così lo giuro, non sono stato io …»
Le ore della notte passano lente, interrotta in continuazione da incubi, poi, ancora la cantilena riprende ossessiva: non sono non stato io, non sono stato io … Poi, quando comincia ad albeggiare, il sonno gli porta via la mente.
Da due settimane Francesco Lacaccia, rinchiuso in una cella di San Vittore, dice sempre e solo la stessa cosa. Non ha pace e neanche i compagni di cella, con cui non ha mai scambiato una parola, non hanno pace.
Una mattina la chiave gira nella serratura e la porta di ferro si apre. L’agente penitenziario lo chiama per nome e cognome, con un distacco da routine:
« Francesco Lacaccia, il tuo avvocato ti aspetta nel parlatorio, muoviti!»
Il tragitto fino al parlatorio è lungo. Il detenuto procede a testa china e, a voce bassa, come se stesse recitando un rosario, ripete sempre la stessa cosa: non sono non stato io, non sono stato io, io l’ho trovato così, lo giuro.
Il parlatorio è un locale angusto, arredato solo con un tavolo e due sedie; l’avvocato, una donna dai grandi seni, lo accoglie, mettendo fine alla nenia ossessiva:
« Buongiorno signor Lacaccia, prego si accomodi.»
Adesso sono seduti uno di fronte all’altro e si fissano.
«Signor Lacaccia ho buone notizie per lei», il detenuto sbarra gli occhi e si mette più comodo sulla sedia. « Il medico legale ha fatto pervenire il risultato autoptico al GIP dove si dice che il decesso del piccolo Biagio è avvenuto sì per asfissia, ma non provocata. Dalle analisi non ha riscontrato pressioni o lesioni, la causa del soffocamento è dovuta alla posizione riversa che spesso i neonati assumono da soli. Il giudice ha firmato l’istanza di scarcerazione immediata: quindi lei da questo momento è libero.»
Il Legale si lascia andare sulla sedia e, soddisfatta, gli sorride.
Francesco Lacaccia si alza, la raggiunge e la stringe in un abbraccio liberatorio.
I grossi seni dell’avvocato premono sul suo petto ma lui non li sente: per lui quella donna è sempre stata un personaggio asessuato, un tramite con il mondo esterno, colei che poteva fare la differenza tra la verità e un’accusa infamante.
Il tragitto a ritroso verso la cella sembra più corto.
Fuori, sul marciapiede non c’è nessuno ad aspettarlo, né amici, né parenti, tanto meno la sua compagna. Già, e perché mai dovrebbe esserci? In fondo è stata lei che ha chiamato la polizia, lei che lo ha accusato di aver soffocato il proprio figlio, e sempre lei che lo ha maledetto mentre la polizia lo portava via, ammanettato
Davanti a lui si ferma una Audi A4, alla guida c’è l’avvocato. Sale.
« Ha un posto dove andare? » gli chiede la donna.
«Al momento no. Mi può accompagnare a Gallarate dove abita la mia ex compagna? Giusto il tempo di prendere la macchina, alcuni documenti e qualche cambio d’abito. Poi mi cercherò un albergo fino a quando non avrò deciso cosa fare.»
« Va bene, andiamo a Gallarate.»
L’appartamento è in un palazzo situato tra la periferia e il centro città. Sul citofono c’è ancora il suo cognome: Lacaccia / Brodolini.
Suonano e sentono lo scatto della serratura. L’ascensore si ferma al terzo piano e, quando escono, notano che la porta dell’appartamento è socchiusa. Entrano. La donna esce dalla cucina e li raggiunge:
« Ciao, come stai?» dice con naturalezza.
« Andiamo in cucina che vi preparo un caffè.»
In cucina tutto è in ordine: non c’è niente che ricordi ciò che è avvenuto.
« Mi dispiace per quello che è successo» prosegue, mentre volta le spalle, forse più per non guardarli negli occhi che per preparare il caffè.
« Come hai potuto pensare, anche per un solo secondo che io … potessi aver fatto una cosa del genere? » la accusa Francesco.
« Perdonami, se puoi, ma quando ti ho visto lì, fermo, con gli occhi spalancati che gridavi parole sconnesse è stato nat …>
« Naturale? Naturale un cazzo! Comunque sono tornato solo per prendere alcune cose; in settimana manderò qualcuno a ritirare la mia roba.»
In quel momento si sentono dei passi. E’ un bambino, sui sette, otto anni che, non appena entra in cucina e vede i due intrusi, si ferma di scatto, riconosce Francesco e lo fissa con durezza:
« Ah! sei tu» dice, «che vuoi dalla mamma? Adesso te ne vai con quella lì, vero?»
«Ciao Samuele, non voglio niente dalla tua mamma, la signora che è con me mi ha solo accompagnato: me ne vado subito.»
Il bambino raggiunge la mamma, le pone le braccia intorno al collo e gli parla vicino all’orecchio, ma a voce alta:
« Hai visto, mamma, lui non ti vuole bene, se ne va con quella lì, solo io ti voglio bene e per questo dobbiamo restare sempre insieme. Mandalo via, non voglio che resti qui, non voglio un altro fratello che piange sempre, dobbiamo restare solo noi, tu ed io.»
La mamma sbarra gli occhi e guarda l’avvocato. Poi tutti e tre, assaliti da un atroce sospetto, puntano gli occhi sul bambino.
A Francesco si ripresenta la scena. E’ quasi mattino, il piccolo piange e la mamma, come accadeva spesso, si rivolge a lui con la voce impastata dal sonno: « Biagio piange, ci pensi tu?»
« Sì, adesso vado!»
Ma il pianto sfuma, torna il silenzio e Francesco rimane a letto. Cade di nuovo nel sonno, non sa per quanto tempo, forse per cinque, dieci minuti, poi si sveglia completamente, si alza e va verso la camera dei bambini.
Qui giunto, vede il figlio a pancia in giù: sembra stia dormendo. Si avvicina per assicurarsi che respiri, ma si accorge che non lo fa, è immobile, sembra un bambolotto lasciato li alla fine di un gioco.
Rimane paralizzato davanti a quella visione, cerca di chiamare la sua compagna, ma dalla sua bocca esce solo un lungo gemito.
Svegliata dal lamento, arriva la sua compagna, che guarda nella culla e vede il figlio privo di vita.
Francesco ricorda le urla della donna, il pianto, le accuse, la corsa al telefono, l’arrivo del 118 e della polizia. Poi le manette, l’interrogatorio, la cella di sicurezza, il carcere, il delirio e, infine, la verità.
La voce del suo avvocato lo riporta al presente:
«Signora Brodolini, credo sia meglio che lei chiami un legale.»
Quindi estrae dalla borsa l’agenda e cerca un numero, lo trova, lo compone. La voce del centralinista è sbrigativa:
« Tribunale dei minori di Milano, dica pure. »
« Sono l’avvocato Elisa Rovito, mi passi per favore il magistrato di turno!»
Marcello Tropea
Ben scritto, molto inquietante....però secondo me fa pensare troppo a Cogne. Ti suggerirei di cambiare almeno il nome del bimbo Samuele...
RispondiEliminaIl caso di Cogne è diverso, lì a colpire è stata la mamma. Il nome del bambino è stato casuale, almeno che il subconscio...
RispondiEliminaGrazie per il commento, leòn.
Alcuni hanno anche ipotizzato che la mamma volesse coprire il figlio maggiore....
EliminaQuesto non lo sapevo. Sembrerà strano ma ho seguito molto poco la storia.
RispondiElimina