mercoledì 22 febbraio 2012

Mostro in cantina

Il bambino continuava a piangere. La mamma lo stringeva, lui si rifugiava contro la sua spalla bagnandola di lacrime. La mamma provò a cullarlo, poi gli parlò dolcemente. Su, gli disse. È stata solo suggestione. Lo sai cosa vuol dire suggestione? Il bambino si tirò su e guardò la mamma con espressione incuriosita, dimenticando per un attimo di piangere. La mamma gli sorrise. Il bambino arricciò il labbro superiore e scoppiò di nuovo in pianto. La mamma lo tirò a se. Vuol dire che ti eri così convinto di vedere qualcosa di brutto che alla fine te lo sei immaginato, ma immaginato così forte che ti è sembrato di vederlo. Capito? Il bambino scosse la testa con furia, fino a farle male alla clavicola. No no no, mamma, rispose, con la voce rotta. Ti dico di no. Ti dico che davvero c'è un mostro in cantina. Si tirò su di nuovo e la guardò negli occhi. Davvero. E non ridere. Ok disse la mamma. Non rido. Raccontami come è andata. Il bambino saltò giù e si mise in piedi davanti alla madre. Si asciugò le lacrime con la manica e si preparò per raccontare. La madre dovette trattenersi dal sorridere ancora. Allora, cominciò. Ero andato giù al piano di sotto. Stavo giocando. Lo sai che non devi andare di sotto no? Te lo avremmo detto un milione di volte, io e papà. Mamma, però se mi interrompi io non riesco a raccontare, insistette lui con la voce rotta. La madre annuì e fece cenno di continuare. Ero andato giù insomma. Mi stavo annoiando. I cartoni animati non mi piacevano e i videogiochi mi avevano un po’ rotto. Allora sono andato in cucina a prendere un succo di frutta. Poi volevo tornare in salotto, ma mentre tornavo ho visto che la porta della cantina era aperta. Non mi ricordo se era aperta anche prima, ma mi pare di no. Non lo so però. Allora mi sono affacciato. Non l'avevo mai vista la cantina. È buio là sotto. Non so perché sono sceso. Ho acceso la luce, ma non arrivava fino in fondo alla scala. Però sono sceso. Piano piano, perché avevo paura. Però sono sceso lo stesso. Ricominciò a piangere, in silenzio, singhiozzando. La madre prese un fazzoletto dal comodino e glielo passò, lui si asciugò le lacrime, si soffiò il naso e glielo rese. Continua, gli disse infilandoselo in tasca. Si. Sono sceso. C'era sempre meno luce. Le scale scricchiolavano, come nei film terror. Horror. Si. Non dovresti guardarli. Si. Continua. C'era sempre meno luce. Ma in fondo non era proprio buio. Un pochino si vedeva. E io avevo già un po' di paura e non sapevo cosa fare. Ma però sono andato avanti. In fondo alle scale c'era uno stanzone buio, con le cose ammucchiate, i bauli, le scatole e tutto. In fondo allo stanzone c'era una porta. Che non era aperta, ma nemmeno chiusa. Era aperta solo un pochino. Socchiusa. Si. Dalla porta aperta un pochino, cioè, no, socchiusa si vedeva una luce. E si sentiva un rumore strano. Un rumore di mostro. E come sarebbe, un rumore di mostro? Chiese la madre, cercando di non sorridere. Come... come quando l'acqua della vasca va via giù per lo scarico. Ma più forte. E che non smette. Continuo? Sì. E io volevo scappare perché ero sicuro sicuro che lì c'era un mostro, però volevo vedere. Come quando guardo i film terror, no, horror, che mi fanno paura però li voglio vedere e poi la notte non dormo. E allora sono andato verso la porta un po' aperta. C'è la caldaia, là dietro, gli disse la madre. Quel gorgoglio, il rumore che sentivi, e la luce che filtrava da dietro la porta, era solo la caldaia. La caldaia è la macchina che serve a far funzionare il riscaldamento e l'acqua calda. E in effetti quella porta porta doveva essere chiusa, non quasi chiusa. Proprio per evitare che certi bambini curiosi intronati dai film horror vadano giù e rischino di farsi male, oltre che di prendersi un bello spavento. Ne conosci qualcuno così? Io si. Lo sapevo che non mi credevi! Le urlò in faccia il bambino. Io non sono intronato! Avevi detto che mi facevi finire! Va bene va bene amore, finisci, scusa se ti ho interrotto, disse la madre sospirando, con gli occhi al cielo. Non era la caldaia, disse il bambino con lo sguardo a terra. L'ho vista, la caldaia. Lo so cos'è. Ce lo hanno spiegato a scuola. Ma dietro la porta, accanto alla caldaia, c'era un mostro. Sembrava tipo un uomo, ma era verde, con la pelle tipo quella dei dinosauri, e aveva i dentoni, e gli occhi rossi. Più rossi della luce della caldaia. E quando mi ha visto ha riso, ma senza ridere, e ha allungato una mano. E allora io sono scappato e sono corso su per le scale e ho chiuso la porta della cantina e ho pianto, con la faccia nel cuscino del divano, e poi sei arrivata tu. Mi dai un altro fazzoletto? La madre gli asciugò le ultime lacrime. Senti, gli disse. Sei un piccolo incosciente. Perché non mi dai mai retta, e ti avrò detto mille volte che non devi andare in cantina, perché rischi di farti male. Però sei stato molto coraggioso, perché hai affrontato la paura che avevi, e io sono molto orgogliosa di questo sai? Sei il mio ometto coraggioso. Però devi ascoltare la mamma quando ti dice che in cantina non c'è nessun mostro, e che te lo sei solo immaginato. La fantasia fa brutti scherzi a volte sai? Anche quella degli ometti coraggiosi. Ma adesso sai che facciamo? Scendiamo giù insieme, accendiamo tutte le luci e così vedi che giù c'è solo la caldaia. Ok? Il bambino la guardava atterrito. Non avrai mica paura a scendere giù con la tua mamma? Le mamme sono più forti dei mostri sai? Dai ometto coraggioso. Il bambino deglutì, ci pensò un po' su, poi disse di sì. Era un ometto coraggioso. Accesero le luci e scesero piano le scale. Il bambino si teneva al corrimano e guardava avanti, lo sguardo vigile. La madre dietro sorrideva, mentre un lembo di maschera si staccava rivelando le squame, subito sotto gli occhi rossi.


Filippo Rigli

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