Stanza 251

mercoledì 4 gennaio 2012

Un incontro

Lo studente stava seduto sulla panchina del parco, l'appartamento puzzava di tabacco ed era sporco ovunque, i sacchetti dell'immondizia giacevano accatastati vicino al portone. Si alzò, andò in mezzo al parco e si stese sull'erba.
L'anziano camminava col cane al guinzaglio, correva di qua e di là, non riusciva a tenerlo. I tendini del braccio gli dolevano, l'animale li aveva strattonati. Liberò il cane. Lo sguardo fissava il vuoto davanti a sé, era una giornata plumbea, non affatto buona per uscire di casa. Vide il ragazzo prono sull'erba a guisa d'un animale che si ristora al sole, ma non c'era alcun sole. Pareva un imbecille. Gli andò a presso.
Il ragazzo sentì passi d'uomo avvicinarsi, strusciavano sull'erba.
Un volto avvizzito gli adombrò la vista.
«Salve» disse lo studente.
«Salve. Non c'è il sole».
«Già».
«Che sta facendo?»
«Penso».
«A che pensa?».
«A nulla, a cosa dovrei pensare?»
«Non so, a qualcosa».
«Non penso a nulla».
«Suvvia, non può pensare a nulla».
«Ma non si pensa mai a nulla».
«Come come?»
«Pensare qualcosa è una contraddizione in termini».
«Ma va là».
«È vero. Quel che pensi di pensare in realtà è un'entità onirica, non esiste, non la puoi toccare, sentire, odorare. Non è niente».
«E come si fa a pensare al nulla se il nulla non esiste?»
«Si pensa».
«In che senso?».
«Si pensa, basta. E non si aggiunge altro, così non ci occorre il nulla».
«Lei è ben strano».
«Io sarei strano?»
«Sì proprio lei».
«Ah, io sarei strano. E lei scusi, che viene qui, neanche mi conosce e mi rivolge la parola come se niente fosse?»
«Oh insomma, la finisca col niente che mi mette confusione. E poi, l'avessi disturbata o chissà cosa. Che stava facendo?»
«Niente. Vuole sedersi?»
«Grazie».
«Si accomodi, l'erba è comoda».
Lo studente si mise in posizione seduta, le gambe raccolte tra le braccia. Uno accanto all'altro guardavano il cane macinare miglia col naso incollato a terra ad annusare.
«Vuole una sigaretta?» chiese lo studente.
«Non fumo».
«Quanti anni ha il cane?»
«Due».
«È giovane».
«Già. Come lei».
«Il suo cane sta...».
«Cagando?»
«Sì».
«Dunque?»
«No così, forse dovrebbe raccogliere».
«Non ci penso nemmeno».
«Scherza?»
«No».
«Ma come? Il suo cane sporca e non raccoglie?»
«No».
«Eh, certo. E dopo la gente come me viene qui e si trova escrementi canini dappertutto».
«Senta, sono anziano».
«Ecco. Lei è una di quelle tipiche persone che si lamenta di tutto, è colpa di tutti, tranne mia».
«Ma cosa sta dicendo?»
«Eh, mi ha capito benissimo. Come quelli che si lamentano dell'inquinamento e poi usano la macchina».
«Ma cosa c'entra?»
«Eh c'entra, c'entra, lo so io che c'entra, se permette».
«Va ben, vuole che me ne vada?»
«No no stia pure».
L'anziano ripensò alla casa spoglia, senza polvere, pulita, alla barba da farsi, ma senza spargere peli per tutto il lavandino, alla cena da preparare, ai piatti da nettare per benino, al cane da spazzolare, però fuori, altrimenti la casa si riempie di pelo. Quanti doveri che gli aveva lasciato.
Lo studente pensò all'appartamento da riordinare, all'esame da ripassare per l'ennesima volta, era l'ultimo, un anno per preparalo e poi la laurea, fine dei giochi e poi? La vaghezza di mille possibilità contro la certezza di un solo esame.
«Non c'è il sole».
«Sì, questo l'ha già detto».
«È la vecchiaia, ci si ripete».
«Quanti anni ha?»
«Settantasei. Quel che volevo dire era che mi sembrava stupido prendere il sole».
«Non stavo prendendo il sole».
«Ah già, stava pensando».
«Esatto».
Il cane tornò dal suo padrone, grattava il braccio con la zampa per farsi accarezzare.
«Le vuole molto bene».
«Già».
«È sposato?»
«Lo ero. Ora sono solo con il suo cane e i suoi precetti».
«Ah...»
«Già. Lei che fa nella vita?»
«Studio».
«All'università?»
«Sì».
«È di qui?»
«No, mi sono trasferito, vivo solo in un appartamento».
«Se la spassa».
«Già».
Il cane voleva tornare a casa, s'era allontanato verso l'uscita del parco, l'anziano lo richiamò e gli rimise il guinzaglio.
«Va...».
«Mi manca un esame» lo interruppe lo studente «poi mi laureo».
«Buon per lei. La saluto» rispose l'anziano, cercò di alzarsi.
«Già se ne va?»
«Sì, il cane vuole tornare».
«Vedo» rispose lo studente, lo sguardo altrove, voleva punirlo. «Arrivederci» aggiunse mentre era ancora accanto a lui, in evidente difficoltà.
«Mi scusi?»
«Dica».
«Mi aiuterebbe ad alzarmi?»
Lo studente si alzò, gli porse il braccio, l'anziano vi si arpionò e tentò di mettersi in piedi. Non ci riuscì. Lo studente lo prese sotto la spalla con l'altro braccio e spinse verso l'alto. Dondolarono qualche istante, spinsero in direzioni opposte, rischiarono di cadere ognuno nel corpo cadente dell'altro. Il cane li guardò storti.
«Grazie».
«Di niente».
L'anziano fece per andarsene, poi si fermò.
«Anche la vita non è niente. Si muova, si agiti, non stia fermo, cerchi di riempire».
«Cercherò».
«Buona serata».
«Arrivederci».
Lo studente si fermò fino al tramonto, il cielo si oscurò, non c'erano lampioni, non vedeva ad un metro di distanza. La temperatura era scesa, alzò il cappuccio della felpa sulla testa. Si avviò verso casa. Entrò, l'immondizia ancora là  - e chi doveva portarla via? Un odore pungente lo colpì alle narici, non erano solo i sacchetti ad emanare quel lezzo rivoltante. Guardò le suole delle scarpe. Una macchia grumosa marrone e gialla s'addensava sulla scarpa destra: aveva pestato la merda del cane.   

Egidio Ferro

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