mercoledì 30 novembre 2011

Su appuntamento


Mi fermo davanti al portone scuro, esitante. Non c'è nessuna targa che indichi la presenza di un professionista. Il mio cuore è inquieto. Continuo sul marciapiede, come se dovessi andare da un'altra parte, poi torno sui miei passi. Non sarei qui, se non fosse per il mio fidanzato, l'ha voluto lui.
Leggo i nomi sul citofono, quello che cerco si dissimula con la scritta "interno 7". L'indice mi si ferma a mezz'aria.
Costa poco, è discreta, lavora bene, mi ripeto, per convincermi. Lavora bene.
Non è il dolore fisico che mi frena, è la cosa in sé.
Faccio un respiro. È l'ora dell'appuntamento. Anche altre mie amiche lo hanno fatto.
Premo il pulsante, la serratura scatta.
Nell'androne, la scarsa luce e il silenzio mi fanno pensare che il palazzo sia disabitato. Sono sola, penso mentre il portone si chiude alle spalle. Almeno mi avesse accompagnato... no, meglio di no. Salgo le tre rampe fino allo studio. Nessuna targa neanche qui. Per un attimo spero di aver sbagliato indirizzo. Posso ancora andarmene. 
Invece suono il campanello.
Non avrei saputo dire chi mi aspettavo di vedere. Una signora, forse, con le unghie laccate. Invece mi apre una ragazza rumena, poco più che ventenne, un po' troppo truccata con colori improbabili. Il lucidalabbra rosa non lo usano più nemmeno le tredicenni, ma in fondo le sta bene. 
E ha le unghie laccate, quelle sì, i capelli neri, il naso un po' schiacciato e l'aria mascolina. Indossa un camice bianco, immacolato.
-Ciao, mi chiamo Iasmina. Entra- passa subito al tu.
-Enrica, ciao- le stringo la mano.
La supero ed entro nello studio, che poi è l'appartamento dove vive. Una stanza, la più grande, funge da laboratorio. Passando, intravedo la camera da letto dalla porta socchiusa, lei si frappone e la chiude. Vive da sola.
Mi consegna un camice verde di carta, del tipo usa e getta, e mi indica un separé:
-Spogliati. Torno tra un secondo.
Mi tolgo i sandali, mi sfilo la gonna e gli slip e indosso il camice.
-Sdraiati- una ragazza di poche parole.
Mi stendo sul lettino.
Che cazzo sto facendo.
Iasmina ha infilato dei guanti di lattice.
-Apri le gambe.
Piego le ginocchia e divarico timidamente. Lei, con un gesto brusco, le separa e osserva in mezzo.
-Prima volta?
-Sì. Mi farà male?
-Un po'.
Parla un italiano sciolto, solo l'accento è ancora evidente.
Osserva con insistenza.
Mi guardo intorno, imbarazzata: vedo una lente incastrata in una luce circolare, un erogatore di vapore, degli scaffali carichi di vasetti, un fornello dove sta scaldando la cera, per me.
Iasmina è ancora lì, davanti a me, le mani sulle mie ginocchia, a scrutarmi.
Improvvisamente, si china, non la vedo più.
Sono supina e lei è sparita.
Ma so che mi sta ancora guardando. Sento il guanto di lattice che mi sfiora. Mi scosta delicatamente le grandi labbra, senza che io possa vedere.
Mi si è accelerato il respiro.
Non so cosa stia facendo.
Mi sento come se fossi sdraiata a letto, legata e bendata, in attesa del mio amante.
Sto avendo caldo.
In balia, più che in att...
Poi lei si rialza.
-Allora, io comincio da sopra, poi scendiamo tutto intorno, fino giù. L'interno glutei è compreso nel prezzo.
Faccio sì con la testa, sento le guance in fiamme.
Mi versa un po' di cera sul pube. È calda e mielosa, la stende con una spatolina. Poi applica una striscia di carta e...
-CAZZO!
Non riesco a trattenermi.
-Tutto bene?
Tutto bene? TUTTO BENE? Mi ha fatto un male pazzesco! La guardo con gli occhi sgranati e annuisco.
-La prima volta che vieni fa più male. Le altre, i peli sono più piccoli. Ma devi tornare tra due settimane per non farli crescere troppo.
Vedremo, penso. Oppure non torno proprio.
STRAP
Reprimo un urlo. Cazzo, non me lo hanno detto le mie amiche, che fa così male.
-Tutto bene?- lo chiede ogni volta.
-Quanti strisce devi usare?- chiedo implorante.
-Dodici, quindici, dipende. L'interno glutei è compreso.
Si ferma e mi guarda interrogativa.
-Beh? Forza, metti il piede sulla mia spalla.
Il rituale si ripete. La cera. La striscia. Il dolore.
Devo distrarmi sennò impazzisco. Cerco di fare conversazione.
-È da tanto che sei in Italia?
Lei abbassa lo sguardo verso di me, e per un attimo mi sembra scossa da un brivido. Sembra tremare.
-MMMHHH
Mi mordo le labbra per non gridare. Mi ha fatto ancora più male, forse non ha avuto la mano ferma. Forse lo ha fatto apposta. Facevo meglio a stare zitta.
-Sì, qualche anno.
Il viso è impassibile.
-Da quando è morta la mia mamma.
Si ferma un attimo e vedo le sue spalle cedere.
-Mi dispiace, non vol...
Ma lei si riprende subito e mi interrompe con un gesto. Applica la cera nella zona interna della coscia.
-Qui fa un po' male- mi avverte.
Perché, prima cos...
-UURRGHH
Avrei voluto chiederle, ma ora ho capito.
Ho gli occhi pieni di lacrime.
"Cazzo cazzo cazzo! Meno male che non ci conosciamo" penso "sennò ti avrei già coperto di insulti, pezzo di...".
-Sai la mia mamma com'è morta? Mentre mangiava la zuppa- riprende lei il filo -Vivevamo insieme a Suceava, vicino al monastero. Solo noi due.
STRAP
-Tutto bene?
Continua il suo lavoro e intanto racconta.
-Mi voleva tanto bene. Tanto bene. Era una mamma meravigliosa. Lavorava tanto.
Tossicchia per nascondere l'emozione. Io seguo i suoi movimenti per cercare di prepararmi a...
-AAAHHH!
-Ti ho fatto male, stavolta?
-Un po'- ammetto.
-Quasi finito.
Si sporge a prendere qualche striscia di carta.
-Lei stava mangiando con me, la sera. Mi chiedeva come era andata la giornata. Ha alzato il cucchiaio verso la bocca e si è fermata così- mima il gesto con la spatolina davanti alle labbra.
Sospira.
-Poi è caduta in avanti.
Un singhiozzo, improvviso. Si porta il dorso della mano a nascondere la bocca.
-Scusa.
-No, niente, figurati, io...
STRAP
-Tutto bene?
Sono in un bagno di sudore, e sto ansimando.
Lei continua ad armeggiare là sotto, non credo di aver mai avuto rapporti così intimi con nessuno.
Tira su con il naso.
Mi spalma la cera ancora più giù. Avevo dimenticato l'omaggio. No, questo non riuscirò a sopportarlo. Mi vedranno correre per la strada nuda con le strisce di carta appiccicate.
-Senti, forse non è il caso...
-Tranquilla, è compreso nel prezzo.
-UUUHHH
Beh, pensavo peggio. Non ha fatto poi così male. Confronto al resto.
Mi cosparge di olio emolliente, poi mi asciuga.
-Fatto. Il tuo uomo sarà contento.
Si toglie i guanti e si asciuga l'angolo dell'occhio.
Mi rivesto rapidamente. Non ho neanche fatto in tempo a guardarmi. Più tardi, da sola.
Sento incredibilmente fresco.
La pago, costa effettivamente poco.
-Grazie, allora, io...
-Torna tra due settimane, mi raccomando.
-Certo- distolgo lo sguardo -adesso che so dove sei...
Restiamo un attimo l'una di fronte all'altra.
Ha gli occhi lucidi. Il trucco ha sbavato e le ha contornato gli occhi di nero. Gli occhi sembrano implorare.
-Torno di sicuro.
E allora lei si slancia e mi abbraccia, e anche io la stringo e sento spuntarmi le lacrime.
La tengo stretta e sento mentre si abbandona.

Aldo Quario

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