La luce di mezzogiorno rivestiva gli alberi di uno smalto inusuale, avvolgendo l’uliveto in un cerchio abbagliante che gli ricordò l’aureola di certi santi, dipinti sugli altari delle chiese di campagna della sua infanzia. Il vecchio sorrise e proseguì la salita lungo il sentiero tra le fasce. Il silenzio era rotto, a tratti, da una cicala che si faceva sentire, mimetizzata sulla corteccia di un albero. Il vecchio teneva le mani nelle tasche della tuta da lavoro e con la destra stringeva il manico ruvido della pistola. L’aria era immobile e il caldo insopportabile. Sudava e respirava con fatica. Si domandò se fosse il caldo o la paura. Quando raggiunse la cima della collina, dove gli ulivi si facevano più radi, il riverbero del sole lo accecò. Avvertì un rumore, si voltò e finalmente la vide. La giovane aveva capelli biondi tagliati corti e occhi dello stesso colore del mare che in lontananza invadeva l’orizzonte. Lo stava fissando con uno sguardo indifferente e quasi sprezzante. Anche lei teneva le mani nelle tasche dei jeans.”
“Non farlo”
Lo disse con calma, fissandolo negli occhi.
Il vecchio sentì l’azzurro entrargli dentro, e lo riconobbe. Era il mare che aveva amato e anche odiato, quel mare che aveva accompagnato la sua vita e ora invece era lontano, oltre la collina.
“Devo”
Non disse altro, gli occhi ridotti a due fessure, per combattere il sole e per sostenere il suo sguardo, senza farsi abbacinare.
“Allora vengo con te”
Il vecchio sapeva che era inutile dirle un no, la ragazza era cocciuta, avrebbe fatto di testa sua.
La guardò avvicinarsi, dietro l’apparenza sfrontata c’era la fragilità della giovinezza e non era solo il colore dei suoi occhi a ricordargli il mare, ma anche il modo di camminare, caracollando leggermente, come chi ha passato tanto tempo su una nave e non riconosce più la terraferma. Era il suo stesso modo di muoversi, ma era lui ad aver passato tanti anni sul mare. Quando l’ebbe accanto sentì, o forse immaginò, un profumo di salsedine e, suo malgrado, sorrise.
“Perché quel sorriso?”
“Hai un buon profumo”
“Non metto profumo”
Il vecchio lo sapeva e non rispose. Lei però, chissà, forse capì perché sorrise a sua volta.
Si incamminarono insieme.
Il sentiero, ora, lasciato il crinale della collina, scendeva dolcemente verso una radura pianeggiante, fiancheggiando un piccolo bosco di castagni e qualche ulivo solitario che si ergeva come ultimo baluardo di quello che doveva essere stato un uliveto molto vasto ma ormai del tutto abbandonato.
La natura si era ripresa quello che l’uomo le aveva strappato chiamandolo”coltivazione”e violando il naturale processo delle cose a suo uso e consumo. Ora quello che poteva sembrare abbandonato era invece in un perfetto ordine naturale.
La casa apparve improvvisa, quando il sentiero curvava lasciandosi alle spalle il boschetto, invisibile dalla sommità della collina.
Una vecchia casa di pietra che a prima vista poteva sembrare disabitata.
La ragazza si parò davanti al vecchio, i capelli biondi, colpiti dal sole, sembravano emanare luce propria, gli occhi non più azzurri ma blu cupo, come il mare in tempesta.
“Nonno, non lo devi fare, non tocca a te farlo”.
Il vecchio sapeva che lei aveva ragione ma sapeva anche che non sempre si deve dare ascolto alla ragione.
“Allora torna indietro, lasciami solo”
“No”
Cocciuta, lo sapeva che era cocciuta.
Quando aveva lasciato il mare e tutto il resto, giù, oltre la collina, la sua scelta era stata vista come la stranezza di un vecchio con il cervello che non funzionava più tanto bene. Come aveva potuto, Sauro il pescatore, andare a seppellirsi in mezzo ai boschi, in una casa decrepita, mollando tutto e tutti?
Al vecchio le chiacchiere non importavano, una ragione c’è, c’è sempre, la sa chi la deve sapere.
Nemmeno lei sapeva perché e non le importava, intuiva che aveva a che fare con suo padre, con la sua morte, ma non aveva mai chiesto e nessuno le aveva mai spiegato. Voleva bene al vecchio, c’era qualcosa tra loro due che non aveva bisogno di parole, saliva alla vecchia casa e il vecchio la accettava.
Erano simili, e lo sapevano.
Però quel giorno lei non condivideva quello che lui voleva fare.
Il sole era caldo e l’ombra della casa di pietra era un sollievo.
Alla catena c’era il cane.
Drizzò appena la testa, nel sentirli arrivare.
“Ciao, Lupo” lo salutò Marina.
Era del tutto simile a un lupo, il pelo grigio e gli occhi ambrati, anche se alla catena e accovacciato, emanava un senso di forza possente.
Marina lo accarezzò e il cane guaì di piacere, leccandole la mano.
Il vecchio, immobile, li osservava e li amava entrambi.
Era successo due giorni prima.
Forse si erano persi, forse avevano sbagliato strada.
Una decina, chiassosi e allegri, probabilmente felici di aver trovato un sentiero inesplorato, già pregustando i racconti ai colleghi e agli amici in città.
Lui non li aveva sentiti arrivare, stava sistemando la legna dietro casa e quando Lupo aveva drizzato le orecchie ed emesso un ringhio sordo aveva pensato a qualche animale nel bosco.
Non lo aveva richiamato vedendolo correre via, silenzioso e veloce, erano state le grida ad allarmarlo.
Non passava mai nessuno su quel sentiero che non era nemmeno segnato sulle carte, ma quel gruppo era, chissà come, arrivato fin lì.
“ Un lupo…c’è un lupo!”
“Attenti! Attenti..c’è un lupo!”
Gente di città, stupidi turisti della domenica, si erano spaventati e il più stupido, naturalmente anche il più gradasso, aveva cercato di colpire Lupo con un bastone.
Lupo non era un vero lupo ma c’era una buona parte di lupo in lui.
Fu questa a prendere il sopravvento, azzannò l’uomo con il bastone.
Chissà, forse era stato un altro stupido uomo a ridurlo in fin di vita quand’era ancora un cucciolo, quando Sauro il pescatore, diventato uomo dei boschi, l’aveva trovato.
Da allora, per Lupo, c’erano stati solo il vecchio e la ragazza, la casa di pietra, il rincorrere lepri e volpi e l’accucciarsi vicino al fuoco.
Quando il vecchio era accorso, sentendo le grida e già sapendo cosa avrebbe trovato, l’uomo si rotolava a terra e Lupo gli stava sopra.
Arrivarono tutti in fretta, anche se non era facile trovare la casa. Per portare via il ferito dovette atterrare l’elicottero e poi fu la volta degli uomini in divisa e delle carte, di parole dure, della sentenza già emessa.
“Non è un lupo, è il mio cane”
Nessuno lo stava ad ascoltare, nessuno voleva sentire parole diverse da quelle già decise.
Il vecchio ottenne di tenere Lupo, “incatenato, mi raccomando, incatenato” ancora per qualche giorno, si sarebbero organizzati per venirlo a prendere.
“Forse lo metteranno solo in un canile”
“Come sta l’uomo?”
“Ha perso il braccio”
Il vecchio chinò il capo “Mi dispiace”
“Nonno, non è stata colpa tua”
Lui lo sapeva, neanche sul mare, con suo figlio, era stata colpa sua.
Ma ci sono cose inevitabili.
Teneva ancora le mani in tasca, sentiva il freddo dell’acciaio tra le dita.
“Non voglio che lo facciano altri”
“Forse non lo faranno “ ma sapevano entrambi che non era vero.
Lupo era tranquillo, anche lui aveva capito che ci sono cose inevitabili.
Il vecchio tirò via le mani dalle tasche.
Wilma Nicola
Primo premio al concorso letterario "Onda d'arte" 2011, Ceriale (SV) .
Primo premio al concorso letterario "Onda d'arte" 2011, Ceriale (SV) .
Piacevole. M.
RispondiElimina