mercoledì 5 ottobre 2011

Turno di guardia

Era quasi il tramonto. Gli avevano assegnato due ragazzi che gli erano sembrati molto giovani. La ragazza portava pantaloni verde militare e una felpa nera, era castana e minuta, con due grandi occhi azzurri dietro lenti spesse, aria seria. Il ragazzo era vestito da rapper, con pantaloni troppo larghi, felpa con cappuccio, berretto. Lo guardò un po’ perplesso, ma non disse nulla. Potevano avere diciassette anni. La metà dei suoi. Si avviarono in silenzio. Uscirono dall'abitato, raggiunsero la cinta muraria, salirono su una torretta scoperta. Alle loro spalle il villaggio appariva lontano, con poche luci accese. Di là dalle mura si stendeva la pianura. Nulla assoluto, a perdita d’occhio. La temperatura andava a calare. Si misero a scandagliare l’orizzonte con il binocolo. Non accadeva niente. Il ragazzo tirò fuori un thermos di caffè dallo zaino e gli chiese se ne voleva un po’. Gli dette del lei. Doveva sembrargli molto vecchio. Gli rispose di offrirlo prima alla ragazza, e di dargli del tu. Si scusò e le porse la tazza fumante. Lei la prese, sorridendo. Cercò di immaginarseli mentre si tenevano per mano in un viale autunnale o abbracciati in un cinema. Non ci riuscì. Si alzò un po’ di vento, rabbrividì, bevve un altro sorso di caffè. Ripresero a scrutare la valle. Niente. Il sole era tramontato. La visibilità era buona, una luna quasi piena vegliava la valle brulla. In cielo non c’era una nuvola. Non servivano neanche gli infrarossi. I ragazzi non parlavano, neanche tra loro. “È la vostra prima uscita?” Gli chiese. “Io sono già uscito tre volte”, rispose il ragazzo, con aria da duro. “Io due”, disse la ragazza, arrossendo. “Allora siete due veterani”, gli disse l’uomo, e sorrise. Anche loro risero, e la tensione si allentò un poco. Ancora non accadeva niente. La notte procedeva a rilento. La ragazza tirò fuori un blocchetto per gli appunti e una penna dallo zaino. “Senti…” fece rivolta all’uomo “…tu ricordi com’era prima, vero? Me ne parleresti?” L’uomo era un po’ perplesso. “Te ne avranno parlato un milione di volte a scuola. Avrai letto libri, visto filmati d’epoca…” “Sto… sto raccogliendo testimonianze” rispose la ragazza. “Vorrei scrivere qualcosa… una specie… una storia… ma non proprio, ecco… reale… non so se mi riesce spiegartelo…” “Ti sei spiegata benissimo” le disse l’uomo. Qualcosa per raccontare davanti al fuoco le notti d’inverno, pensò. Mentre il vento spazza la valle. Qualcosa per sperare in tempi migliori. “Prima”, cominciò, “c’erano città con milioni di abitanti. Davvero. Il pianeta era sovrappopolato. E si poteva girare il mondo in poche ore. Ogni giorno si poteva scegliere cosa mangiare. E si poteva fare il bagno nel mare, quando faceva caldo. E c’erano i cinema. Avete mai visto un film?” I ragazzi annuirono. “Io alla vostra età ne avevo visti migliaia. E si potevano vedere anche in casa. E passavamo gran parte delle giornate a non fare nulla. Semplicemente seduti a chiacchierare. E ognuno aveva la sua automobile, e…” Si fermò, irretito nei ricordi. La ragazza scriveva nel blocchetto, a capo chino. Il ragazzo lo guardava in silenzio. A loro era toccato solo filo spinato e deserto. Erano nati dopo il contagio.  Ma all’uomo sembrava che avessero una luce nello sguardo che a quelli di prima mancava. Gli sembrava fossero una razza nuova. Migliore, forse. Poi il rilevatore suonò. “Ci siamo ragazzi” disse loro. Un gruppetto di contagiati si avvicinava barcollando sulla linea dell’orizzonte. L’uomo li osservò col binocolo. Nulla di nuovo. Avevano i vestiti a brandelli. La carne gli si imputridiva addosso. Tirarono fuori le armi dalle custodie. Il ragazzo aveva un fucile di precisione da caccia grossa, più alto di lui, con proiettili lunghi una spanna e un ottica enorme. La ragazza aveva una carabina corta e leggera. L’uomo portava un vecchio fucile d’assalto. “Coraggio”, disse l’uomo. “prima tu.” E indicò il ragazzo, che con un movimento automatico imbracciò il fucile e rimanendo in piedi esplose un colpo. Lo sparo fu assordante. In lontananza la  testa di uno dei contagiati esplose. Gli altri continuarono ad avanzare barcollando, come se nulla fosse. “Ottimo”, disse l’uomo guardando nel binocolo. Il ragazzo sorrise, lo sguardo soddisfatto. Aveva l’aria di divertirsi un sacco. “Coraggio, giovane scrittrice”, proseguì, rivolto alla ragazza. Lei inserì il caricatore nella carabina, si inginocchiò, si tolse gli occhiali. “Ma ce la fai senza?” chiese l’uomo, un po’ preoccupato. La ragazza lo guardò torvo, e non rispose. Regolò invece la rotella dell’ottica e toccò delicatamente tre volte il grilletto. La carabina non fece quasi rumore. Tre figure in lontananza caddero. “Accidenti” mormorò l’uomo dietro il cannocchiale. La ragazza sorrise, e arrossì di nuovo. Il ragazzo applaudì. “Giusto Cielo” disse l’uomo, soddisfatto. “Siete davvero due killer”. Non c’era nulla da fare. Quei ragazzi erano nati con il fucile in mano. Il pensiero lo rattristò. “Coraggio”, li incitò. “Chiudiamo la pratica”.  Il ragazzo sparò di nuovo. La gamba di uno dei contagiati venne tranciata di netto dalla sua fucilata. Quello proseguì strisciando. La ragazza trasalì. L’uomo scosse la testa. “No ragazzo. Così mi deludi. Non stiamo giocando. Il nemico si rispetta.” Il ragazzo si vergognò della sua bravata. “Ma non sentono niente… poi loro ci mangiano…” replicò con scarsa convinzione. “Questo non lo sappiamo. E non ci mangiano perché sono cattivi. È la loro natura. Vedi, siamo stai noi, a ridurli così. Non possiamo permetterci di infierire. Mi capisci vero?” Il ragazzo annuì. Probabilmente capiva davvero. Eppure lui non aveva colpa. L’uomo gli mise una mano sulla spalla. La ragazza si fece il segno della croce e con gli occhi umidi finì il contagiato che  strisciava. Falciarono gli altri con colpi precisi alla testa e aspettarono ancora un po’. Ne arrivarono ancora, sempre dalla stessa direzione. L’uomo si risolse a chiedere l’intervento dell’aviazione. “Attenzione, probabile nido”, disse alla radio. Dopo pochi minuti alle loro spalle degli elicotteri si alzarono in volo, gli passarono sopra rombando, e le dune all’orizzonte si illuminarono di fiamme di napalm. Gli elicotteri rientrarono. “Che Dio ci perdoni” disse l’uomo. Non arrivarono più contagiati per tutto il turno di guardia. La notte stava per finire. “Andate pure”, disse ai ragazzi. Il ragazzo gli dette la mano e gli lasciò il thermos. La ragazza lo baciò sulla guancia. “Buona fortuna per la tua storia” le disse. La ragazza sorrise. Li guardò tornare al villaggio nella luce fulgida dell’alba, mentre aspettava il cambio.


Filippo Rigli 

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