mercoledì 24 agosto 2011

Senza specchi

L’unghia del mio pollice destro è rigata longitudinalmente. Le righe si sentono sotto il polpastrello del dito che ci passa e ripassa sopra. La righe si vedono. Rifrangono i neon. E controluce si nota una balza trasversale. L’unghia è sempre corta. Sta bene vicino alle altre, corte anche loro. Manine senza vezzi. Una fascetta d’argento al medio. Un anello d’argento smaltato all’anulare. Le dita inanellate sono della sinistra. La mia mano preferita. Dei piedi preferisco il destro. E’ armonico. Sul  sinistro svetta un primo dito troppo lungo. Mio fratello usava il mio piede sinistro come un microfono e cantava amore ti voglio bene. I piedi privati giocavano nudi al vento. E ridevamo come pazzi. Vergognosi e ridanciani. 
Il dorso della mia mano è secco di freddo. Crema mani mai. Segni di graffi di gatto. Gatto d’appartamento. Gatto costretto. Gatto fulminato. Amato. Polsi lisci senza un tempo. Braccia ancora sottili anche se verso le spalle qualche carne sembra più stanca. A tredici anni coprivo le braccia complessate con maniche lunghe d’estate. E adesso che scafandri dovrei adottare? Compatisco gli accenni maturi delle mie  carni spugnose e vado avanti con l’inventario. Spalle belle. Torco e reclino il capo e mi schiocco un bacio sulla spalla destra. Non serve nulla a spalle così. Non spiovono. Stanno. Reggono i colpi. E alludono alla femminilità tenuta sotto. Scendo lungo la schiena dritta. Il neo è sempre lì ma non dà noia, sepolto per stagioni intere sotto strati di cotoni elasticizzati e lane miste e salvo, per un soffio, dalla fascia stretta del preformato. Due fossette proprio sopra il mio sedere equidistano dalla colonna. Le esploro con un indice che poi striscio sulla pelle a tastare la morbidezza del fianco e porto davanti a trovare l’ombelico. Orifizio ostruito. Ombelico a fessura. Non prorompe sul fuori. Sta dentro ritroso. Ombelico elegante. Meno elegante la pancetta su cui troneggia. Ma va bene così. Quel doppio chilo in più riempie anche il seno compatto. Seno di figlia in età di madre esperta. Seno vuoto di latte. Inspira. Espira. Tenuta aerea buona. Il folto villo mi distoglie. Laggiù io continuo. Non comincio e non finisco. Una volta un’attrice che sbarcava il lunario con seminari estivi disse che il mio centro era proprio lì sotto. Vedete come cammina? E’ LEI a guidare, diceva. Io a malapena sapevo di avercela eppure era LEI a guidarmi. Quel seminario mi costò un occhio. 
Tutta quanta poggio su gambe magre che accennano, complici le ginocchia, ad una timida ics. Coscette di pollo. Caviglie strette. Un giorno d’estate mia madre mi guardò già grande e mi disse che avevo belle gambe. Rinchiudevo la migliore delle età nell’afa di un loculo soffocante. Finisco all’alluce troppo lungo e canticchio amore ti voglio bene.


Annabella Ferrin

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