mercoledì 27 luglio 2011

Sotto il prato verde

Non so quando è successo che ti ha preso la morte, mamma. E da quando ha preso te ha preso anche me. Vorrei tornare indietro nel tempo, all’epoca in cui non sapevo che la vita è quello che ti accade mentre aspetti il cancro. E adesso è successa a te la morte, mamma. 
Sono solo col mio pesce camastino. Mi suggerisce nozioni di morte. Mi chiedo come faccia a sapere tante cose, lui. Il mio pesce camastino somiglia a un’alga.
La morte è come la parola fine. Dove in fondo alla parola fine c’è un bel punto e dopo il punto le pagine successive sono tutte bianche. La storia è finita e non c’è un seguito, non succede più niente, solo un mare infinito di carta bianca.
La morte è una persona che dice di no a tutto. E’ un indegno diniego.
La morte è un pezzo di fegato crudo che scivola in un piatto bianco lasciando una scia rossastra. Se lo prendi in mano ti sfugge, scorre viscido e non riesci a trattenerlo, come se non fossi padrone delle tue mani, come se il fegato avesse il potere.
La morte è quando le mani degli invisibili ti toccano ma non senti niente. Migliaia di dita protese ti sfiorano ma è come se fossi ricoperto da un folto strato di ovatta.
La morte non esiste. Non c’è traccia di lei nell’emozione di un bacio, non è nella musica, non è nella suggestione di un libro. Non è nella pioggia. Non mi completa. In comune abbiamo solo il vuoto che annienta ogni motivazione.
La morte legittima la scarnificazione delle ossa, la trasformazione in polvere della mia cistifellea e del mio ombelico. Maledetta polvere del cazzo che staziona su tutti i mobili e si deposita anche su di me. Le vite degli altri su di me. Ma chi le vuole? Non voglio la morte di nessuno sui miei stivali.
Le mie mani di legno si muovono solo per uccidere l’odiosa polvere. Sono Pinocchio. Pinocchio non può morire.
Non voglio stare sotto due metri cubi di terra ricoperti di verde e tenera erba. Voglio restare qui, nella mia stanza con la carta da parati bianca e blu, che ho lentamente scollato dal muro per avere qualche brandello blu con cui nutrire il mio pesce camastino. Lui va matto per la carta da parati blu. 
Vorrei dare fuoco a questa stanza che puzza di morte ma temo i topi che vogliono salvare i libri.
Starnutisco su un libro di Kafka da cui esce un piccolo insetto nero. Tra le zampe tiene una perla scura e fugge via dicendo ‘E’ tardi!’.
Arianna è bella. Mi ha detto che sono bello. E’ intelligente ma non mi spiego come abbia fatto ad affezionarsi a quello zerbino di cane chiamato Lisippo. Se mi innamoro di lei il mio pesce camastino se ne accorgerà e vorrà dei soldi per mantenere il silenzio con mio padre. 
Mio padre è un pesce martello, nuota nel mare, mangia i pesci più piccoli, non rispetta i segnali stradali sottomarini e ha deciso che non vuole figli.
I venusiani del piano di sopra fanno troppo baccano la sera. Bevono, mettono la musica del loro pianeta a tutto volume e poi ballano saltando sul pavimento. Certe volte non riesco a dormire.
E’ nata una bambina da poco. Lei ignora cosa siano le mani di legno e i pesci camastino. Ma la sua mamma sa raccontare un mucchio di belle favole. Se tornassi bambino me le racconterebbe ma sto andando verso la morte perciò non mi aspetto né piccoli né grandi avvenimenti nel mezzo.
Mamma, ti ricordi la favola del fagiolo verde che cresceva fino al cielo? Saliamo sul fagiolo mamma, arriviamo fino alla città misteriosa dove la morte è una marmellata prelibata e si mangia spalmata sul pane.
Mamma ho bisogno delle tue favole prima che diventiamo cenere.
Mamma, mi racconti quella favola in cui io alla fine divento felice?


Elisa Minì

1 commento:

  1. Interessante: pare quasi uno dei quei canti incatenati tipo "volta la carta"...
    rdp

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