Ti bacio. E abbraccio l’aria. In questa notte lucida di umido, sfuggita alla sorveglianza dei guardiani, cammino in tondo nel cortile e posso amarti, adesso che ti ho ammazzato. Le tue labbra ancora mi escono dalle tasche. E sento le tue risate che sono colombi in piazza o pezzi di sale. Volano via oppure si sciolgono. Anche stasera ci hanno dato i fagioli neri. Li abbiamo rovesciati sul tavolo di marmo e ce li siamo divisi. Ognuna si è presa la sua parte poi ce li siamo cotti sul fornello della stanza. Sembrano feti, io me li mangio e me li rimetto in pancia. Tutti i figli che non ho avuto. Non sono riuscita a spiegarlo al giudice che anche tu mi sei entrato in bocca la sera che ho sparato. È per questo che l’ho fatto. Poi sei sceso in gola e nello stomaco e ti sei sistemato un po’ sotto, dove si formano i crampi delle smanie. Io qualche volta mi tuffo con un vestito viola a scandagliare il fondo e resto un po’ con te. Prima mi sembra di trovare del buono. La volontà prende forma troppo lontana da qui e dei desideri non sente neanche l’odore. Poi sempre lì, nello stesso posto, trovo l’odio di scoprirsi ingannati. Mi hai liberato l’anima. Un male immenso, come se mi avessi fatto uscire dalla gabbia del petto.
Dal chiuso della gabbia, io guardavo fuori. Poi il nero che avevo alle spalle ha dato più luce alla mia faccia e tu mi hai riconosciuta. E sei venuto a prendermi. Ma mi amavi già prima di vedermi, perché io c’ero da prima, e c’ero per te. Il mio corpo allora si è diviso in due, tutto il mio dorso era freddo e il mio petto, la pancia tutto il davanti caldo. Ho lasciato la mia parte scura staccata da me, scollata, producendo filamenti di materia corporea. Poi dalla gabbia sono uscite foglie e ostie consacrate, e delirio e giornate di novembre. Tutte le forme che può prendere l’amore. Ma il volo è stato a metà. Adesso sono un uccello che sta nei pressi del seno sinistro. Sta fermo nell’aria bagnata, con le piume bagnate e con il becco chiuso. Quando mi dicevano che non mi volevi più sposare non ci ho creduto, per la giustezza naturale dell’amore, perché le tue parole erano per sempre, anche gli occhi, anche le mani. Non era né giorno né sera quando ti ho buttato in terra, c’era una luce spenta delle giornate di qua, senza cielo e senza vento. Il prato aveva erba opaca e siccome era vicino alla strada c’era qualche sassolino nell’erba e ho pensato che cadendo ti eri sbucciato le mani. E questo mi dispiaceva. La pistola l’ho presa dalla borsetta quando eri già nell’erba. Non avevi paura. Non avevi paura neanche quando te l’ho puntata contro, perché tu credevi di vincere sempre. Ho sparato due colpi. Uno ti ha macchiato la giacca. Non ci sono delle pareti alte con le macchie di umidità attorno all’ora d’aria. Benedette, per tutto il possibile che ti nascondono. Clementi, compassionevoli amiche che ti riportano in cella con sollievo per il poco che ti perdi. Ci sono cancellate alte che lasciano vedere le stagioni. Gabbie, che non tengono fuori da qui tutte le forme che può prendere l’amore.
Elena Bellei
pubblicato su: Tutte le forme che può prendere l'amore (Modena, Incontri Editrice 2008).
Una lama che affonda nel ventre di chi legge.
RispondiEliminaE onesta umanita'... grazie.
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