lunedì 11 aprile 2011

La memoria dell’acqua

 “Non basterebbero tutti i secchi di casa per raccoglierla. Non ha mai smesso di uscire. Gocciola, non c’è verso di fermarla”.
Da quando il nonno era tornato dalla guerra, Marta lo sentiva dire in casa. Per questo si era convinta che tutti in famiglia fossero fatti d’acqua.
Ancora Marta si sente liquida. E le sue gambe sono come i fusti vuoti delle gerbere.  Il cuore una cavità che conserva il liquido chiaro di prima di nascere. Anche la sua mente è d’acqua, e i pensieri  prendono  la forma del recipiente che li tiene. Una tazza, una pentola, oppure il pavimento di  cucina quando si rompe la lavatrice.
Marta crede di essere amata di più per questo suo modo di stare al mondo, quando il suo petto diventa acqua larga e grande, e pensa: non stiamo bene qui, nel mare?  Ma il suo scorrere in basso  non permette a nessuno di tenerla.
Marta non è nè bella nè brutta. E’ taciturna, e se a volte canta con l’intento di sedurre, nessuno scende ad esplorare il fondo.  Perchè chi l’ama una notte rischia di annegare, come chi si cala nell’oceano senza bombola.  E l’intima corrente che risucchia,  e la corrente opposta che  trascina via, stordisce gli uomini perchè è lei che entra, non lui, come succede di solito.Un destino distratto e dissipatore, che non ha tempo di capire,  mortifica la sua natura speciale ma non c’è niente da fare, non c’è nessuno che prima o dopo non ritorni  al mondo sicuro della materia dura.
 “Ho sognato l’acqua” sente dire, “porta male”. E perchè mai? “Non so. Ma l’ultima volta è bruciata la casa”. Cattiverie. Le parole sgradevoli le arrivano alle orecchie ovattate da un brusio lontano di sorgente.
Il mare l’aveva conosciuto col nonno, era con lui  che andava a pescare alla domenica, con i piedi a bagno fino alle ginocchia. Era lui che le aveva fatto amare la pioggia, e la portava in giro senza ombrello. E certo quel difetto che gli aveva procurato la guerra lo aveva reso saggio sulla vita breve degli umani.
Anche lei fa sogni d’acqua, ma non porta male, pensa. E’ bambina e  sta in braccio al nonno. Lui ha le gambe immerse fino alle ginocchia. Sua nonna dice: “Non basterebbero tutti i secchi di casa per raccoglierla.  Perchè sai, non ha mai smesso di uscire, dal tempo della guerra, dal novembre del 44”. La nonna quell’acqua la vuole assaggiare. Non ha sapore e non ha odore, ed è limpida. E continua a gocciolare giorno e notte, giorno e notte. Un sogno per modo di dire, perchè è come la realtà.
Come si possa concepire un figlio d’acqua lei se lo chiede. Non sarà difficile. Forse sopra un pattino, dopo un bagno al largo. O in una notte di pioggia tanto fitta che non stai più attento a quello che fai,  (ma i finestrini della macchina sono chiusi?  lo stenditoio è al coperto? si è allagata la cantina?). Così che il pensiero dell’acqua ha il sopravvento su tutto il resto. Anche sull’amore. E’ per questo che si litiga, poi si fa la pace commossi fino a piangere, fino a coprire il letto di lacrime, così che una bambina può nascere dal pianto.
 “Non c’è niente da vedere”  diceva la nonna, e la teneva fuori dal bagno quando faceva le medicazioni, dopo la doccia. E quando apriva la porta per fare uscire il vapore si piantava con i fianchi tra gli stipiti, per non farla entrare. Perchè lei era piccola.  Se non c’è niente da vedere perchè non posso vedere? Era per via del nonno nudo, che non si poteva guardare. Per via del suo grosso pene, che aveva fatto la guerra e continuava a gocciolare.
Marta era entrata lo stesso, si era infilata da sotto la sottana anche se lo spazio era stretto, perchè la vecchia aveva le gambe a fiasco e i polpacci si toccavano anche a piedi larghi. Aveva visto la ferita all’inguine incorniciata di muffa, di bolle azzurro chiaro, come i confetti sulle torte dei maschi. Un buco, un becco di fontana, una cannella breve, un rubinetto rotto, una crepa che lo avrebbe fatto dissanguare a poco a poco, a poco a poco. Ma non dissanguare di sangue, perchè di sangue da lì non ne usciva una goccia. Ma prosciugare d’ acqua.
Nella sua mente di bambina il nonno un giorno o l’altro si sarebbe sciolto come una medusa.Quando capitò lei lo vide con i suoi occhi. Il letto bagnato e vuoto. Senza il corpo sopra. Solo quell’umido stropicciato, solo una grossa chiazza che scuriva il lenzuolo. E per peggiorare le cose tutti avevano pianto e intorno c’era bagnato dappertutto.Dunque doveva essere questa la vita e la morte, aveva pensato, una specie di fiume che per un po’ ti passa dentro.


Elena Bellei

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