Quante volte, allora che tu, o musica mia
alcuna melodia trai da quel beato legno,
«Si fermi! Si fermi!» stavo urlando d’impulso. Sulle labbra si bloccarono, invece, le parole rivolte al conducente, mentre stampavo le mani sul finestrino, contro il fluire non tangibile dei palazzi in corso Canalgrande. Interruppi l’intento allo stesso modo in cui una melodia avrebbe esteso il proprio suono allungandone il valore, mentre le altre voci continuavano a cicalare in polifonia su un nastro magnetico. L’autobus era quasi vuoto; avessi alzato il tono, il basso continuo dei pochi volti, resi piatti da un’anonima quotidianità, mi avrebbe guardata con inquietudine. Eppure quella figura gagliarda, pallidamente riflessa dal bianco dei capelli, passeggiava senza fretta sul lato opposto della gelateria K2, sotto i portici.
che risuona sotto le tue dolci dita
con accenti che rapiscono il mio orecchio,
Il mio sguardo fu calamitato, paradossalmente senza stupore: una borsa in mano consunta da fogli e carte malriposte, un ombrello chiuso nell’altra, un cappotto a tre quarti addosso… com’era possibile? Eravamo in piena estate, non nella piovosa primavera della prima volta! Erano trascorsi tre anni e nulla pareva mutato per quell’uomo, nemmeno le stagioni, appunto. Suonai precipitosamente il pulsante per la richiesta di fermata. Scesi alla prima utile, decisa a raggiungerlo. Ma, nonostante una piccola corsa in direzione opposta all’autobus, non riuscii più a scorgere la sagoma. Anche questa volta l’uomo misterioso pareva essersi dileguato tra i passanti, percorrendo gli argini dei canali interrati.
Invidio quei tasti che lievi saltellano
per baciare l’incavo della tua mano; mentre le mie povere
Scesi di fronte alla biblioteca Delfini, trovandomi così nel lato opposto di tre anni prima.
In quel intervallo di tempo erano mutate la facciata del palazzo Margherita, ristrutturata, oltre che la mia conoscenza della toponomastica della città. Ora sapevo con certezza che, lì nei pressi, via Goldoni incrociava via Venezia, stringendo il Teatro Comunale in un abbraccio, come in una danza a due. Le coincidenze mi inebriavano e continuano a farlo.
«Versi... Sono versi galanti e licenziosi…» avevo ripetuto imbarazzata a me stessa allora, abbassando annichilita gli occhi dopo averli spalancati su un prestante uomo di mezza età, che declamava con voce calda e sicura davanti a me.
labbra, che dovrebbero mietere tale messe, rimangono
solo accanto a te, arrossendo dell’ardire di quei discoli!
«Shakespeare, Sonetto 128! Può accettare l’omaggio?!» chiese baciandomi la mano.
Ringraziai senza un velo di titubanza, stuzzicata dal piacere dell’atto quanto mai inconsueto, pur continuando a non comprendere. «Perché a me?» ripetevo mentalmente in una sorta di loop involontario. Mi guardai attorno circospetta: c’era molta altra gente, anche se nessuno pareva interessato a quanto mi stava accadendo.
Possibile che la mia biografia e i miei desideri fossero così palesi? Chi era costui, un veggente? «Cosa fa nella vita, se non sono indiscreto? Scambiamo due chiacchiere, così… mentre aspettiamo. Le spiace?», continuò l’uomo.
Per essere così sfiorate, esse cambierebbero
volentieri stato con quei tasti,
Sui quali le tue mani leggere vagano,
rendendo quel morto legno più beato di vive labbra.
E schiarendosi la voce aggiunse: «… così è musicista… che altro?». «Musicista? Tasto dolente… diciamo a metà…» sussurrai quasi, rattristandomi. «Credo di essere più incline allo studio che alla pratica. Scrivo, ma…non so se… Ecco il 14!!». Salii di corsa sentendo l’uomo che alle mie spalle seguitava a parlare: «Non smetta! Ne sia convinta!...continui ad essere così come è stata con me, senza pregiudizi… mi saluti Venezia!». Le porte si chiusero velocemente. Sorridendo, persuasa di poter proseguire la conversazione per far luce in me stessa, mi girai invitando il mio interlocutore a sedersi affianco. Non c’era! Non era salito! Eppure quello era l’ultimo autobus della giornata!
Poiché quei bricconcelli son tanto fortunati,
offri pure loro le dita da baciare, a me le labbra!
Lanciai uno sguardo veloce alla fermata: l’uomo, come il mezzo pubblico, si era incamminato verso il K2, ma presto la sua sagoma non fu più distinguibile. Dopo alcuni mesi, mentre svolgevo delle ricerche di studio, lontana dal ricordo di quell’incontro, mi capitò di imbattermi in un ritratto di Carlo Goldoni. I tratti del viso del drammaturgo mi riportarono alla mente quelli dell’uomo in questione: la somiglianza era sorprendente! Mi lusingò l’idea di aver avuto l’opportunità di incontrare un tale personaggio in una dimensione lontana da qualsiasi tempo, in una situazione ribaltata di destini anagrafici. Intravederlo a distanza d’anni nello stesso luogo, confermava la relazione esistente!
Ah! Dimenticavo… all’epoca io, Ada Capabrat (di origini venete, come modenesi erano quelle di Goldoni), vivevo nell’immediata periferia di Modena, in una casa che, dall’atto di compravendita del XIX secolo, risultava essere stata di proprietà di un ricco possidente veneziano… Scherzetti tra sonni eterni?
«Musica!» (di Vivaldi, ovviamente…).
Roberta De Piccoli
pubblicato su: “Emilia, la via maestra” (Modena, Damster 2010)
Nessun commento:
Posta un commento