domenica 26 settembre 2010

Ariel

Con l’aprirsi della stagione ad una luce più clemente io ed Ariel andavamo spesso a fare passeggiate nel parco. Senza preavviso lei si fermava irrigidita, bloccata di colpo. Una mano invisibile le impediva di avanzare. Restava immobile a guardare un fiore sbocciato dal terreno, con la testa reclinata, il profilo che sporgeva dalla stoffa del cappuccio.
Certe volte, tornati a casa dopo pomeriggi trascorsi correndo attraverso il bosco autunnale, seduta sul divano del salotto – senza neppure togliersi gli indumenti sportivi usati per la corsa - mi chiedeva che portassi una tazza da tè vuota ed un bicchiere colmo d’acqua. Appoggiavo questi oggetti sopra il tavolo di cristallo, aprendo un varco in mezzo alle pile di riviste e giornali. Sempre tenendo il cappuccio sulla testa versava il contenuto del bicchiere dentro la tazza.
L’aria immota nella stanza.
L’acqua ferma nella coppa di porcellana.
Fissavo il liquido trasparente. Poi distoglievo sempre lo sguardo perché preferivo non assistere al momento esatto della trasformazione. Mi dedicavo a studiare per qualche secondo le oscillazioni delle cime degli alberi attraverso le finestre. Ariel non faceva niente di diverso dal solito. Sembrava impegnata a seguire pensieri che la conducevano lontano.
Arrivava sempre la sorpresa quando guardavo nuovamente la tazza.
Conteneva duro ghiaccio. Nessuna alterazione nella temperatura della stanza. Ma l’acqua era divenuta un volume solido.

Stefano Loria

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