martedì 3 settembre 2013

Occasione

Nessuna forma adeguata.
Lavinia mi diceva – molti anni fa, in un’altra vita ben più soddisfacente – che se avesse potuto avrebbe smesso di dormire per almeno sei mesi, in modo da passare tutte le notti a scrivere un diario, una serie di quaderni dove la scrittura sarebbe stata un flusso di immagini, uno scorrere come nell’imitazione dell’accorciarsi del tempo, secondo dopo secondo, ma senza l’ansia che potrebbe derivare da un’idea di questo genere, quando sembra di ascoltare il tic tac che ti brucia la vita rimasta, no, Lavinia pensava ad un lavoro in cui la precarietà delle cose e la finitezza di ogni orizzonte venissero redenti, restituendo pura esistenza ai momenti nascosti nel dettaglio minimo, e questa impetuosa corrente non la devi ostacolare con gli strumenti della ragione - me lo ripeteva spesso – non voglio filtrare troppo le esperienze, non voglio purificare, sterilizzare l’energia del vissuto, ad esempio, devi ammirare quel riflesso di sole sul pavimento, lo spettacolo, il raggio incandescente sopra le mattonelle di cotto consumate dai passi di quelli che hanno lavorato in questo granaio, arriva la luce del sole e scandisce un battesimo degli spazi, vedi – mi spiegava Lavinia, sempre più convinta – questo riflesso è una specie di tomba di tutte le mie ambizioni, qui sono concentrate tutte le mete alle quali non giungerò mai, il bagliore mi acceca e significa che non potrò andare oltre questo pomeriggio, con l’isolamento, con la bellezza stupefacente della campagna intorno a noi, pesa la nostalgia di mondi inaccessibili, è una dolorosa limitazione, sento che non dovrebbe finire così.


Nel buio del grande ambiente chiuso la pozza luminosa sul pavimento resisteva, lei mi disse: c’è troppa luce qui, per favore, usciamo fuori a camminare sul prato.

Stefano Loria (testo e immagine)

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