martedì 27 agosto 2013

Una giornata speciale

Ehi, grazie, grazie, non ti dovevi disturbare. Sì, vino rosso, continuo con quello.
Non ti ho mai visto da queste parti, sei nuovo? Mmhhh... Allora... salute!
Quelli mi guardano?... Sì, parlano alle mie spalle.
Perché? Perché mi hanno sentito raccontare la mia storia un sacco di volte. Ridono di me.
Non stanno ridendo? Bah, quelli non erano neanche nati. Cosa ne sanno.
Sì, parlate, parlate.
Ma cosa avreste fatto al mio posto? Eh? Tu cosa avresti fatto al mio posto? 
La vuoi sentire la mia storia? È una storia vecchia. di quarant'anni fa.
Di quando abitavo a Figline.

Era il 1970.
Io abitavo in uno dei tre mulini, gli altri erano stati disabitati tanto tempo... io sono un solitario, non mi sono mai sposato. Sì, una vita dura... oppure no, non so, forse. Meno rotture.
Un giorno sono arrivati: marito e moglie. Lei era tanto più giovane di lui. Bella donna. Fine, un po' fredda, se vuoi, ma sai: lei era norvegese. Lui tedesco.
Lei parlava italiano. Anche lui, sì. Italiano con accento e senza articoli, sai, sembrava una macchietta.
Lei aveva più o meno la mia età, sui trentacinque. Bella, era proprio bella. Bionda, con i capelli lisci, lunghi sulle spalle. Carnagione chiara, un accenno di lentiggini. Me la ricordo bene. 

Salute.
Dicevo, lei era norvegese. Lui invece era tedesco, e aveva sui 65 o 70 anni, asciutto, raggrinzito, coi capelli a spazzola.
Ti ho detto che lei aveva gli occhi azzurri? Azzurri, chiari, sembravano il cielo. Eh... 
Pochi giorni dopo l'arrivo sono venuti a salutarmi, per presentarsi. Mi hanno invitato a casa loro per un bicchiere, per fare conoscenza.
Lei era taciturna, ma sempre gentile.
Lui era molto sicuro di sé. In casa loro c'erano delle foto, lui in divisa da pilota, molto giovane, ma sempre con gli stessi capelli a spazzola.
Lui si chiamava Arbrecht, lei Solveig. Credo significhi sole, o qualcosa del genere, bello, no? 
Lui rideva sempre, rideva forte. Erano una coppia simpatica.

Comunque; siamo diventati buoni vicini. Lui era sempre in viaggio. Faceva il rappresentante. Si era trasferito perché "gli piace tanto vostro paese, queste colline" mi aveva detto lei. 
Io passavo a trovarla ogni tanto... ogni tanto... per sapere come stava, no? Una straniera da sola... poteva aver bisogno di aiuto.
"Arbrecht vende piastrelle ceramiche speciali per centrali nucleari"
Andava in giro per il mondo a vendere 'ste piastrelle, in Nigeria, in Egitto... Tutti posti pericolosi, dove c'erano guerre. Lei rimaneva a casa da sola per settimane, a volte anche un mese di seguito.
Piastrelle, io, non ne ho mai vista una.
Una sera di aprile, che era tornato da uno dei suoi viaggi, mi hanno invitato a cena.
Faceva caldo, quel giorno, lei aveva un vestito stampato, bianco con dei cerchi colorati, la rendeva ancora più... delicata... aveva preso un po' di colorito, con la vita all'aria aperta e le passeggiate che noi...
Ho detto noi? No, lei, lei passeggiava tra gli ulivi, la sera, da sola.

Ah, sì, la cena.
Quando sono entrato in casa ho sentito qualcosa di strano, un odore di stantio, lo stesso di quando, al mattino, non si sono ancora aperte le finestre dopo la notte. I muri sembravano essere intrisi di un puzzo di cibo avanzato, di sporcizia e di medicina. Ho pensato: il mulino è rimasto chiuso tanto tempo.
"Si accomodi, non faccia complimenti. Solveig ha preparato arrosto. Spero che le piaccia"
Parlava come se avesse avuto qualcosa, in bocca; trascinava le "r", le teneva compresse sul palato fino a stritolarle e poi le lasciava andare, di colpo, come un proiettile.

Oh, grazie, a forza di parlare mi si secca la gola. Grazie.
C'era qualcosa di strano, l'ho già detto? Mi dava fastidio, ma non riuscivo a mettere a fuoco che cosa fosse, come un'immagine sfuggente alla mente, che spariva di nuovo nel nulla.
L'arrosto era eccellente. Io avevo portato due bottiglie di Chianti che scioglieva le lingue. Finita la prima, abbiamo aperto la seconda; Arbrecht alzava il suo bicchiere di continuo, pieno quasi fino all'orlo, e mandava giù una sorsata abbondante, poi lo posava con forza e faceva rovesciare del vino sulla mano e sul tavolo.
Mi ricordo che ha raccontato una barzelletta un po' sconcia. 
Aveva delle guance rubizze, e i capillari, sul naso, disegnavano ragnatele in rilievo dalle quali non riuscivo a distogliere lo sguardo. Abbiamo finito anche la seconda bottiglia di vino ed eravamo tutti un po' alticci.

Mamma mia, ho ancora il batticuore, se ci penso.
"Venga con me" mi ha detto alzandosi, tra l'altro era così malfermo sulle gambe che per un istante mi è sembrato sul punto di cadere, "voghlio farle vedere una cosa". 
Il suo accento andava peggiorando con il vino.
Mi ha portato attraverso un corridoio buio, giù per una scala, in un piccolo scantinato. Che poi era da lì che veniva quell'odore di chiuso. Ero prorpio a disagio, avrei voluto andarmene.
Lui ha acceso la luce, l'ho sentito armeggiare e poi PUM, un botto che a momenti ci restavo secco. Mamma mia. Chissà cos'ho pensato, allora. Invece era una bottiglia di champagne. Ha riempito due calici e me ne ha porto uno.
"Oggi giorno speziale!" con la zeta, speziale, ha detto. Ha alzato il bicchiere e ha sorriso con dei denti, dei denti... mi son sembrati i denti di un cane, grossi e gialli, accavallati.
Arbrecht ha tirato una corda e due tende a sipario si sono scostate.

Oh mamma mia, mamma mia.
Sì, grazie, un goccio mi serve proprio, a questo punto.
È che lui sorrideva, sorrideva con quei denti, poi si è passato la lingua sulle labbra.
"Oggi, 20 aprile, compleanno Führer, bisogna festeggiare!"
E giù il bicchiere tutto in un fiato.
C'era una gigantografia di Hitler che mi fissava dalla parete, oh Gesù, ho creduto di morire.
Lui aveva ancora la bottiglia in mano. Ho pensato: se me la dà in testa, mi ammazza. Non sapevo cosa gli frullasse nel cervello, e poi era ubriaco. Gesù Cristo.

Cosa ho fatto? E tu, cosa avresti fatto al mio posto?
E se mi colpiva? Avevo una paura del diavolo!
Ho bevuto un goccio, poi gli ho detto: devo andare.
"Oh, non abbia fretta di andare, caro. Non capita tutti ciorni, occasione come qvesta" e si è passato di nuovo la lingua sulle labbra, mi faceva gelare il sangue. Sentivo che faceva stridere tra loro mascella e mandibola. C'era un gran silenzio, solo il suono dello smalto che sfregava, ma avevo le orecchie che mi ronzavano come se ci fosse stato un aereo lì dentro.
Allora gli ho detto: non posso proprio restare, e sono corso fuori, corso fino a casa, mi sono sprangato dentro.

Com'è finita?
Mah... lui è partito di nuovo per le sue piastrelle o cosa diavolo fossero, e non è più tornato. Sparito. Non si sa che fine abbia fatto, non lo hanno più trovato. In Sud America, credo.
Lei lo ha aspettato un po'. Poi è tornata in Norvegia. Tra l'altro poi è venuto fuori che non erano neanche sposati.

Io? Con lei? Cosa avrei dovuto... No, no, non sono il tipo.

Adesso basta. Lasciami stare.

Aldo Quario

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