martedì 20 agosto 2013

Annina e il volo nascente dell'aquila

“Annina? Da grande vuole fare la parrucchiera”, dice sua madre. Ma lei, in verità, vuole essere un’aquila. Nessuno lo deve sapere, perché in paese le aquile fanno paura. Scendono in picchiata e portano via i cuccioli malati. 
Annina resta ferma per ore, nel prato davanti casa, alla Pianona, per vederla volare. E l’aquila, prima o dopo arriva, perché lo sa che lei è lì che l’aspetta.
L’Anna è sottile come un gambo di salice, le ossa del costato si possono contare. E’ nata male, dicono in paese, perché quando è venuta al mondo ha passato troppo tempo dentro e fuori dalla pancia di sua madre, e la levatrice non è mai arrivata. E’ rimasta piccola, ed è sempre stata in silenzio. Non è la voce che le manca, ma quello che ha da dire non esce. Ha provato a parlare, una volta, ma si è stancata subito. Non si può neanche dire che fosse un vero discorso. Solo poche parole, piano piano, tanto che chi la stava a sentire non si è dato pazienza, perché a Felino c’è tanto da fare e non c’è tempo d’aspettare.
Annina è come un velo trasparente in mezzo alla stanza. Dove s’inciampa senza neanche imprecare, che non procura interesse né irritazione. Annina è una nebbia.
Ma il giorno della foto è felice, e si siede nel prato davanti a tutti.
Càpitano per caso vicini nella foto, lei e Ildo. Qualcuno da dietro allunga una gambe e Annina per non scivolare punta i piedi nel fresco dell’erba e si gira per aggrapparsi a lui. Ma solo per questo le loro ginocchia si toccano.

Sorride Annina il giorno della foto. E’ la festa di San Giovanni Patrono. Una giornata santa, con appena un po’ di nebbia. Non capita mai a Felino di stare senza far niente. A guardarsi, uno con l’altro, e ridere d’imbarazzo con i vestiti nuovi, messi per un’occasione che non è la messa. 
Lei non lo vuole Ildo, mentre lui già comincia a guardarla con degli occhi diversi, per via dei loro corpi che si sono toccati.  Anna adesso non ama gli uomini, ama le mucche, le capre e le lumache come ama sua madre, perché loro, mucche, capre e lumache, amano lei come l’ ama sua madre. Ma più di tutti l’aquila con la testa bianca, che vola sopra la Pianona.
Sono gli occhi, a sua insaputa, a disegnarle il destino. E’ la magia degli occhi della gente, perché la foto di gruppo, in bianco e nero, ritoccata con qualche sfumatura di colore, rimane appesa alla bacheca del bar di Felino e lo sguardo dei parenti, e del prete, del maestro, dei commercianti del mercato, dei contadini, del farmacista e del dottore, va mille volte al fuoco della foto, dove i due giovani, seduti sull’erba, si toccano senza volerlo. E quegli sguardi, per mille volte dedicati ai due giovani seduti sul prato, che si abbracciano per sbaglio, producono le tenerezze di chi l’amore sogna, o di chi l’amore ha perduto e rimpiange.
Qui, in montagna, gli occhi hanno un potere diverso, perché guardano lungo, alto e lontano. E hanno più presunzione degli occhi di città, che più spesso incontrano il brutto.  Gli occhi in montagna fanno crescere le felci, se vogliono, rinfrescano gli orti e calmano il pianto dei piccoli. Diventano come mani e spostano le cose.  Diventano come giganti che con due dita prendono qualcuno per la testa e lo mettono dove vogliono, dentro una casa di pietra, in una piazza, sul tetto della chiesa.

Con Ildo l’Annina si arrampica sugli alberi come una scimmia,  senza grazia nè sentimento. Anche per questo non si può innamorare di lui. Ildo e l’Annina non si danno dei baci al buio come fanno i ragazzini, e non fanno il bagno alla cascata.
Sono cresciuti insieme, dentro e fuori dal bosco, a cercare i mirtilli e i lombrichi. Stanno insieme perché si assomigliano e perché non riescono a correre forte; restano indietro quando gli altri danno la caccia ai pipistrelli. 
Io non lo voglio Ildo - pensa lei -perché quando ammazzano il maiale Ildo non piange e non scappa  via a coprirsi le orecchie.
E’ vero. Quando gli uomini tirano fuori il maiale dal porcile (e sono in quattro, con le corde, con quei modi duri per non farsi impietosire) il maiale piange come un figlio. Piange e suda, e le gocce di sudore gli scendono sugli occhi come lacrime di pena.
Il maiale è come se parlasse. Ildo questo non lo sa? Chiede aiuto, è come se volesse dire e spiegare a tutti loro, che non è venuto il suo tempo di morire. La voce lui ce l’ha, è che non lo stanno a sentire.

 Annina sei la mia consolazione, la mia consolazione - le dice una voce ch’è diventata sua, rimasta dentro la testa, che non è silenziosa come la bocca - L’acqua calda è buona per calmarti il corpo. Per fare scorrere in basso un tremore di paura. Di cos’hai paura Annina? 
Ho paura della fame - pensa lei - ci sono solo le castagne da mangiare.
Stai chieta, siediti lì. Hai finito di fare l’orlo alla sottana? Lo sai che le bimbe non devono stare con le mani in mano, senza far niente. Lo sai Annina che sei tu la mia consolazione. Con quelle mani piccole che lavano i piatti grandi nel catino di plastica. Nella tua gonnella di terital sta la mia consolazione. Nella tua camicia bianca che profuma di ferro da stiro. Non giocare a testa in giù che ti va il sangue alla testa e diventi matta. Stai chieta Annina, stai ferma, per l’amor del cielo. Appena sei grande vedrai che ti sposi.
Nella processione della festa di San Giovanni le bambine stanno davanti, portano una camicia bianca, e una fascia azzurra di raso brillante, che da lontano sembra un’onda d’acqua che galleggia nell’aria. La vergine dondola sulle spalle degli uomini. La chiamano Maria dei sette dolori, (ha sette spade conficcate nel cuore) o la Beata Vergine del pianto. E’ un coro doloroso ad aprirle la strada.
Maria sì ch’era una bambina buona - dice don Angelo, il parroco. Per questo l’angelo l’aveva scelta. E tu Annina, sei buona? – le chiede il prete, e le accarezza i capelli. Certo padre - risponde sua madre per lei, che non sa parlare. Al tocco della mano sui capelli Annina sente che altre parole mute vanno a formare un sasso nello stomaco, insieme a quello della vergogna, che sta lì da quando don Angelo in canonica l’aveva presa sulle ginocchia e con le mani sudate l’aveva accarezzata sotto la sottana. Questo è un segreto da tenere chiuso nel cuore - le aveva detto lui – per non dare un dolore a Gesù.
E’ un giorno magico per le bambine, quello di San Giovanni. C’è la festa e le frittelle e il calcinculo e poi la foto, tutti insieme. E prima di dormire le bambine si fanno il segno della croce e promettono di non stare mai più con le mani in mano, per meritare anche loro le  sette spadine del cuore  trafitto di Maria. Annina in ginocchio sul letto, vuole dire le preghiere tutta la notte, tutta la notte. Gliel’ha detto il parroco, per farsi perdonare superbia e vanità, per non dare un dolore a Gesù. 
Certo, adesso ch’è più grande l’amore lo sogna, ma non sa com’è. Infila gli occhi nei buchi della tenda di cucina per guardare di là, e vedere i grandi nel letto, ma poi è distratta dalla luce di fuori, e dal bosco, e dal tempo che serve alle piante per crescere. E sente anche in lei crescere  foglie, e un desiderio di essere guardata, dai nodi degli alberi, che sembrano occhi, e dagli squarci che si aprono in mezzo alle nuvole e lasciano intravedere dei tondi di cielo.
Annina quando nasce, nasce male. Viene al mondo prima del tempo, in un giorno di nebbia, e sua madre è da sola alla Pianona, là in cima, dove non arriva nessuno, e Settimio, suo marito, è a lavorare in campagna, lontano da lì. Mette un lenzuolo bianco alla finestra perché la levatrice, dal paese, lo possa vedere e partire più in fretta che può. Ma l’aria è umida, il lenzuolo si fa pesante d’acqua, nessuno lo vede da sotto. C’è troppa foschia. Sua madre fa tutto da sola, sta accovacciata in terra vicino al letto a spingersi la pancia e a tirarla fuori con le mani magre che sembrano artigli. Un animaletto scuro che mostra la testa, il collo, le spalle, poi le zampe davanti.
Settimio è un uomo buono e sa nascondere la delusione per quella figlia femmina, piccola e livida come una quaglia che lo riempie di pena. Ma non è malata. Sono gli occhi del paese a farla gracile anche quando comincia a sgambettare. Gli occhi dicono: povera figlia, il destino ti ha fatto un brutto scherzo. 
Adesso Annina è quasi grande, e il giorno della foto si sente bene sulle sue gambe, con la sua faccia, pensa ch’è stato bello venire al mondo. E alle undici del mattino di questo giorno d’estate, con un cielo chiaro che sembra un mare, sopra a questo prato d’erba gonfia e brillante, in una nuvola di umani che si tengono stretti, con la faccia rivolta al fotografo, lei sta lì seduta in prima fila.
Tutti, uno per uno, si sentono pezzi unici di un mondo, ognuno col suo vestito speciale, la sua chioma speciale, e un corpo che prende spazio, intenzionato a stare in vita più a lungo possibile. Osservati da un occhio disumano che crede di aver visto per un attimo la collinetta alzarsi in volo. Attenzione, si dovrà fare attenzione a non lasciare cadere nessuno, stare pronti ad afferrare per la giacca i vecchi che perdono l’equilibrio, e i bambini che guardano giù e salutavano con la mano le case che si fanno sempre più piccole. Qualcuno dice che bisogna fare molta attenzione a lei, proprio a lei, Annina, la ragazzina, da domani promessa sposa a sua insaputa, che fin da piccola sogna di essere un’aquila, e che se nessuno la guarda certamente proverà a volare.
Lei ha continuato a sognarlo l’amore negli anni d’obbedienza, quando dicevano tutti che Annina è buona da sposare e la foto è sempre lì inchiodata nel bar del paese e benedetta dagli occhi. Tre anni a portare in spalla le pietre del fiume per fare la casa degli sposi e far l’amore senza fare l’amore, ch’è peccato mortale, per fortuna per lei. Annina tiene nel petto le parole, lì dove s’appoggia il respiro e gode dell’aria fresca di montagna. Lei lo sa che le aquile non volano in stormo. Gli uccelli, gli altri, viaggiano insieme. Uno davanti a tutti, mentre chi sta dietro segue, a una distanza uguale, obbedendo a regole di natura e di  bellezza. Tutti procedono insieme in una danza d’aria, misteriosa, precisa. Stessa velocità, stesso impercettibile colpo d’ali. 
Fino a quando arriva un colpo di vento e lo stormo ondeggia, si apre come un lenzuolo nero. Poi riprende la forma di un ventaglio. E’ sempre uno solo che sta davanti a tutti, come una madre o un padre, per aiutare gli altri ad avanzare con meno fatica. Ma ora, dopo quella ventata fredda chi apre il volo non è più quello di prima, è un altro a prendere il suo posto.
L’aquila no, lei viaggia da sola, oggi è così vicina da poter vedere il giallo scuro dei suoi artigli, sembra immobile nel suo volo librato contro l’azzurro, sembra un disegno di scuola.
- Chissà se mi vede – pensa Anna. Quella testa fiera sembra di sapere perché fa rabbia agli umani. E’ per invidia – pensa lei - mica perché porta via i cuccioli malati. Però questo, un giorno, è successo davvero, nel cortile del maestro. L’hanno vista scendere come un piombo, e afferrare con un colpo violento un cane piccolo, strapparlo da terra e portarlo via, stordito, senza un grido. Ne parlano ancora tutti e i padroni dei cani legano delle corde al collo dei cuccioli che non sanno difendersi. 
Li porta via perché sono malati - dice Ildo, ma non sa bene neanche lui cosa vuole dire. - E’ una legge di natura. Ildo è un bravo giovane, lavora sodo, finisce la casa di pietre con le mani, apre un’officina per aggiustare i trattori. Lei vorrebbe imporsi d’amarlo, per carità, vorrebbe inventare un amore che cresce negli anni. Ma come si fa? Ildo le dice “ti voglio sposare perché sei buona da sposare”, le dice “ti amo”, ma non sa bene neanche lui cosa vuol dire.
Tutti portano qualcosa, il giorno delle nozze, mica solo castagne e frittelle di castagne. Ci sono le tagliatelle con i funghi  e la frittura d’agnello. I debiti per comprare il vino si pagheranno, che per i matrimoni e i funerali vale sempre la pena.  E sono fieri i parenti, i contadini, i pastori, i commercianti del mercato, le suore, il farmacista e il dottore, perché hanno avuto ragione, hanno sistemato l’Annina, che non era detto che ci fosse qualcuno che se la prendeva.
Adesso Romano il fotografo, è tornato, per il matrimonio in bianco e nero da ritoccare con appena un po’ di colore.
Lo vede da lontano il lampo bianco quando arriva con la sua macchinetta dalla pianura, il velo da sposa che col vento sovrasta le teste della gente che stanno strette sopra la collinetta, pronte per lo scatto. Certo è capitato ancora a Felino, di stare senza far niente. A guardarsi, uno con l’altro, mentre si prende posto. Un ultimo colpo ai capelli e i vestiti che si stirano con le mani. Le nonne vicine ai nipoti, gli uomini dietro, le giovani composte. 
Chiudi gli occhi Anna - le dice il suo corpo - chiudi gli occhi. Prendi, per tua fortuna, che sei così diversa, questo uomo che dice di amarti. Vedrai che da sposa avrai consolazione. Gli occhi del paese ti hanno benedetta. Ferma quel velo bianco nei capelli che sembra che se ne voglia andare via, e sistemalo bene, che si veda bene nella fotografia, ch’è più vera della vita vera. Che svolazzi nell’aria come una bandiera bianca. Ma un paese intero è distratto, per via dei vestiti della festa. E a lei pare di evaporare al fresco del mattino, e diventare aria, come al tempo della processione quando le bambine stavano davanti vestite di bianco, finite le preghiere.
Il vento si calma e si alza la nebbia, il velo bianco di quella sposa piccola si fa più pesante per l’umidità dell’aria, ricade sui capelli e disegna una testa d’aquila. Ildo le prende la mano e guarda come gli altri verso il fotografo. Da dietro, da sotto lo strato di nuvole grigie, spunta il rapace con gli occhi di vetro. 
L’aquila punta dritta su quel bagliore di sposa finché Romanino la vede, al centro dell’immagine, e pensa a uno scatto speciale, quando passa davanti al sole.

Prepara un volo radente e allarga gli artigli pronti alla presa; mani gialle e rugose di una vecchia signora. Sembra che arrivi per chiedere il posto che le spetta. La festa è di tutti. Scende più bassa. Di colpo come uno stormo ignaro il gruppo si allarga e si disperde, Ildo tiene la mano di Annina e restano soli in cima alla collinetta pelata da tutto quel pestare di scarpe in fuga. La nebbia ha bagnato l’erba, che si fa scivolosa, forse è per questo che Ildo lascia la presa, per non scivolare per non trascinarla in terra. E così succede che alle undici del mattino di un giorno d’estate, con un cielo chiaro che sembra un mare, sopra a un prato d’erba umida la sposa piccola e muta pronuncia il suo sì. L’aquila  rallenta la corsa, si fa più vicina, allarga le mani rugose, l’afferra per la testa e la porta via.

Elena Bellei

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