13 giugno, ore 9:30: controllo radiografico
“L’ho messo nella borsa…”
“Guarda di metterlo a posto se no non lo ritrovi…”
“…nella borsa…”
“Si ma poi lo ritrovi?”
“Se ti ho detto che l’ho messo nella borsa…”
“Nella borsa?”
Lui, in piedi, pensa al suo malanno e passeggia
ininterrottamente pesticciando il linoleum. Bofonchia emettendo suoni
indistinti.
Lei, seduta, pensa ai casi suoi e forse si rallegra che tra
un po’ se lo leverà di torno. Comincia a brontolarlo senza troppa convinzione:
“Ora te ‘un cominciare come al solito!”
Poi cambia improvvisamente pensiero e si affida al tempo o
forse alla protezione della divinità che lo presiede.
“Meno male che il tempo regge…”
I due anziani coniugi continuano il dialogo serrato che
dall'esterno potrebbe sembrare un alterco ma che sicuramente è il loro modo di
relazionare. Un battibecco che dura da quarant’anni.
Ho sceso le scale della radiologia collocata proprio nel
sotterraneo sotto il reparto chirurgico dove lunedì mi affetteranno. Ho trovato
già una piccola folla organizzata per gruppi di affini e/o parenti. Alcuni li
ho già incontrati nelle varie tappe del safari diagnostico che ci impegnerà
tutta la mattinata, altri si sono aggiunti . Una faccia nuova si distingue tra
tutti: in mezzo al corridoio, una anziana signora piccolina - una signorina? –
sta conversando con le persone sedute davanti a lei. Ben piazzata sulle corte
gambette allargate, a mo' di marinaio sulla coffa, ha un tono da stazza ben più
ingombrante e l'energia di un'età molto minore. Sta tuonando senza sordina né
silenziatore e non interpone pause. Mi siedo in mezzo ad altri che già si
guardano allibiti e scocciati. Dopo un po’ la mia vicina di sedia si sente in
dovere di darmi spiegazioni e, sussurrandomi nell’orecchio, mi regala
gratuitamente un bollettino aggiornato:
“Ah… quando comincia…fa sempre così”
“Perché, la conosce?”
“Eh sì, che vuole: ormai ci si incontra sempre ai controlli.
Ma poi! Sta parlando con una suora di clausura.: cosa gliene importerà! Lei sta
in convento, lontana dal mondo. Entra qui e trova questa…”
“Non saprà nemmeno di stare in compagnia con una rompipalle,
data la sua mancanza di consuetudine col mondo esterno ed esteriore.”
E la donnetta continua il racconto: protagonista la sua
bicicletta di cui ricorda tre episodi collegati tra loro così bene da parere
un'unica storia . Per un attimo mi sorprendo in ammirazione di fronte alla sua
abilità affabulatoria. Nell’ordine sciorina: l’episodio della bici rubata e le
sue ambasce sull’ardito dilemma che
faccio, la ricompro? Ma sul finire si intuisce che la bici non era mai
stata rubata e il dilemma era solo ipotetico. Un pour parler.
Il secondo episodio in bicicletta è di vita vissuta
invernale con la partecipazione straordinaria, e non amichevole, di una lastra
di ghiaccio. L’argomento fa sperare in una punizione catartica
dell'inesauribile soggetto ma la signora si dilunga e quindi, per stanchezza,
perdo la parte più interessante cioè quella degli esiti ortopedici. Che vuoi:
anch’io ad un certo punto attivo l’istinto di conservazione, per evitare ingorgo
cerebrale.
Ma il migliore è il terzo racconto sulle sue mancanze di
lucidità e presenza di giramenti di testa.
Coinvolgo la mia vicina di sedia.
“Ci credo che le gira la testa! A forza di parlare avrà
avuto una carenza di ossigeno, un’ipossia cerebrale”
La mia compagna di sedile sorride e aggiunge benzina al
fuoco:
“Ma lo sa che ha litigato persino con l’infermiera. Eh, ma
quando si parla così tanto!”
Faccio un distinguo, excusatio non petita, per innegabile
coda di paglia.
“Sa, anch’io parlo molto anche se con un ritmo più
contenuto. Ma senza pause… così… io l’ammiro: è una vera professionista”
Sul finire del mio commento chiamano la petulante
nell’ambulatorio. Sarà stata una chiacchierona fastidiosa per argomenti, tono e
decibel, però, per un attimo, aveva distolto tutti dai propri affanni.
Arriva una donna piuttosto giovane, ha gli occhi rossi e un
marito corpulento, inaspettatamente tenero, che l’abbraccia forte e la consola
sussurrandole nell’orecchio.
Sul corridoio, e nei nostri cuori, cala di nuovo
l’oppressione del silenzio.
Maria Cristina
Vezzosi
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