mercoledì 31 ottobre 2012

Giorno incrinato


‘Conosco quella donna’, pensai appena la vidi con le mani annodate sulle ginocchia e lo sguardo rivolto al paesaggio al dì la del finestrino. Il treno era partito da pochi minuti e già sfrecciava tra i campi di grano e i borghi appollaiati sulle colline. Era la mia Anna. Piedi sporchi e ginocchia sbucciate. 
Rimasi assorto nei ricordi, per un po’, la mente giocava a disseppellire brandelli di vita passata, spennellate e sprazzi di piccole felicità conservate. Fotogrammi nitidi e saturi di colore. Pedalava nel cortile polveroso, con la bicicletta nuova e l’aria arrogante. Il campanello suonava limpido. Dlin dlon. Svegliava i gatti nel cortile. Io la seguivo accodandomi alla sua scia. C’era una specie di gerarchia implicita, era più grande di me e questo bastava. 
Un giorno, all’uscita dalla scuola fece finta di non conoscermi e se ne andò a casa da sola, con me che le camminavo dietro a una certa distanza. Fissavo la sua schiena ostile e sentivo tutto il peso di un mattone sullo stomaco. Quando arrivammo a casa non mi salutò. All’improvviso si era dimenticata che ogni giorno facevamo quel tratto di strada insieme e portavo i suoi libri. Non pesavano niente. Nei giorni successivi la scena si ripeteva senza che avessi il coraggio di domandare niente. 
Chiesi a mio fratello di scoprire il motivo di quel cambiamento. Lui rise. ‘Casanova’ mi disse con quel tono che odiavo. Casanova. Che ne sapeva lui, c’era solo Anna per me. Poi mi disse che aveva parlato con la sua famiglia, ancora con quel tono che odiavo e il fumo della sigaretta intorno a noi. Mi pentii di quella confidenza, da quel giorno la famiglia di Anna prese a guardarmi in modo diverso, non si fidavano. Oppure gli facevo pena. ‘Che cosa le hai fatto?’ Mi chiese mio fratello. Ma teneva gli occhi bassi e io non avevo risposte.
Il giorno del mio compleanno non mi aspettavo nulla da Anna, ormai mi ero abituato a pedalare da solo. L’inverno aveva liofilizzato tutto e il cortile era un rettangolo freddo e spoglio. La mamma disse che non dovevo giocare perché avevo il vestito buono, così me ne stavo sulle scale davanti alla mia porta a guardare i gatti soffiare contro un ratto congelato. Anna uscì di casa, mi venne incontro e mi consegnò un pacchetto o meglio, un oggetto avvolto in un fazzoletto di cotone bianco. Mi disse solo: ‘Prendi’ e non aggiunse altro. Restai in silenzio, senza ringraziare ma poi, mentre mi voltava le spalle per tornare a casa io le dissi con una specie di fuoco allo stomaco: ‘E’ perché ti sei fidanzata con qualcuno?’ Lei si voltò e rise. Poi disse: ‘Chiedilo a tuo fratello’. 
Nel fazzoletto trovai un piccolo vangelo dalle pagine ingiallite. Non chiesi proprio niente a mio fratello. Quella strana luce negli occhi di Anna mi entrò dentro come un bastone di ghiaccio e non fui più lo stesso con lei. L’amicizia era finita, lo capii in quel preciso momento. Quando terminò la scuola Anna si trasferì in città. I vicini dissero che suo padre aveva trovato lavoro in una fabbrica e che sarebbero diventati ricchi tanto da comprarsi una macchina. Non venne neanche a salutarmi quando se ne andò. A dire la verità non mi aspettavo che lo facesse ma ci speravo. 
Il treno ha un odore che non appartiene al nostro passato eppure siamo qui, in un presente che ci vede estranei. Chissà come reagirebbe se le parlassi, se la salutassi adesso, dopo tutti questi anni. Non credo mi abbia dimenticato. Il sole sta calando dietro una collina storta e mi scalda il viso. Sorrido con gli occhi chiusi. La stazione è vicina, preparo la giacca e la borsa e mi avvio nel corridoio. La mia borsa le sfiora una spalla ma non alza lo sguardo, dorme. Accanto a lei, al finestrino, un bambino guarda le mie mostrine. Quegli occhi li conosco. Il treno rallenta. Guardo la porta in fondo al corridoio come se avessi davanti il purgatorio e penso che questo sia un giorno incrinato come quello del mio compleanno. Oggi sono io che me vado.

Elisa Minì

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