Sara si svegliò a fatica, quasi divincolandosi da sabbie mobili, e raggiunse la finestra nella penombra invernale.
L’aria frizzante del primo mattino penetrò la stanza, indelicata.
Sara si affacciò dal balcone. Si sporse nel vuoto. Per gettarsi di sotto. Le gambe erano così pesanti che dovette fare uno sforzo inumano per tirarle su.
Dopo una mezzora riuscì a sporgersi nel vuoto. Un capannello di persone giù in strada additava il corpo di Sara senza riuscire a capire cosa stessero osservando. Alcune di loro filarono dritte per la loro strada.
Sara allora riuscì a tornare dentro solo dopo un’altra mezz'ora buona.
Dietro di sé aveva lasciato una scia di bava iridescente. Un’ora.
Era chiaro che non poteva suicidarsi gettandosi dal balcone.
E nemmeno poteva strisciare lungo le scale e scendere in strada per cercare un poderoso piede che la schiacciasse.
Sara non poteva neanche ingurgitare una dose massiccia di psicofarmaci mischiandoli ad alcool.
Sara tentò di risalire sul letto ma ormai non c’era nulla da fare. Un’ora e mezza.
Era sfinita. Rimase al centro della stanza e aspettò di morire a stenti.
Gianluca Garrapa
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