Transport, motorways and Tramlines. Starting and then stopping
Molto presto, la mattina, la luce sfoggia i suoi colori proibiti. Una luce cattiva e tagliente, che ferisce e cade lateralmente sulle cose, sull'interminata processione di capannoni calcinati che sono il giardino di cemento di questa pianura tumorata.
Lo scandalo del giorno sfila davanti questa quinta sfatta che è L'Eurostar Feccia Bianca, posto finestrino, mentre ascolto il ron-ron dei pendolari schiantati dalla levataccia.
Edward Hopper in "Sunday, early morning"; è questa la luce di cui parlo.
Ennesimo, ributtante viaggio verso quello scaraccio sul cemento che è Milano, città di bruttezza patafìsica, birbante calcio sui denti che ti accoglie aprendosi come una vulva dalle fondamenta sciancate, mentre t'infili nel ventre canceroso della stazione centrale.
C'è qualcosa di ostile e insensato il questo mio ridondante, ellittico ritornare in questa città graffiata, nel tentativo di sbrigare un lavoro che non avrà mai fine o compimento.
Appena possibile sprofondo nei cubicoli della Metropolitana Milanese per trovare ristoro: Milano, sei l'unica città in cui per vedere qualcosa di gradevole bisogna scendere 10 metri sottoterra.
Schiacciato nei treni della linea gialla, aspetto la mia stazione corrotto dall'esotico vernacolo dei popoli sotterranei. E qui scopro che la linguadoca meneghina è peruviano schietto, e tutti detengono zufolacci andini sotto l'ascella, come parigini la baguette.
The emptiest of feelings, sentimental drivel
Sbucare al cielo, a Milano, emergendo dalla metropolitana, non è uscire a riveder le stelle; perché a Milano è mancato il cielo, l'hanno spaccato giù tutto o ri-pittato in grigio. Regolarmente, dalla Stazione Crocetta al monolitico palazzo di Giustizia la strada è sempre differente. Ogni volta le vie, informi budelli fumiginosi (ma di che fumigine stiamo parlando?), si differenziano, e l'intera città sembra sollevarsi e accartocciarsi su se stessa, chiudendoti in un guscio di noce di laterizio grigiore, come in una delle scene più forti di "Inception".
Let down and hanging around
Eccolo davanti a me, il Golem farcito di uomini inumati in vita in toghe nere dimesse, mi si apre di fronte per l'ennesino giro di giostra ebete.
L'udienza è sempre una sagra di parodistico, burocratico clangore. Si processano imputati al più contumaci, v'è un'assoluzione "con schiamazzi", il cancelliere riceve e maneggia la posta pneumatica che attesta l'inutilità di questo cartaceo disonore. I testimoni - regolarmente citati -sono quasi sempre assenti, un imputato è impedito dall'euroscetticismo, il giudice ha il bavero macchiato di ketchup, buffo sacerdote officiante in un rito ormai desueto, come nelle chiese. Che possiamo farcene di tutta questa colpevolezza senza più legge?
Aspetto il mio turno sfogliando "La versione di Barney" e mi viene da pensare che l'unica ragione della sopravvivenza di questo esoterico salmodiare sia la danza macabra delle scartoffie e dei faldoni, da un piano all'altro, da un ufficio all'altro, svolazzando in aria tra le mani cicciotte di magistrati con monocolo, simili a ridicoli Adolf Heinkel con il ballonzolante mappamondo. Niente + niente, uguale a niente.
Crushed like a bug in the ground
Quando Barney Panofsky tradisce Miriam nel momento più sbagliato della sua vita arriva il mio turno. Ma è solo un'attesa frustrata.
La quinta udienza in bianco di un processo che non è più possibile celebrare - questa volta è un fax che manca - si conclude con i nostri soliti borborigmi mutuati da libri delle leggi che sono solo insalate di parole. Dio quanto vorrei sfanculare questa farsa rivoltando il banco degli avvocati in faccia al Tartufo di turno...
Raccatto le mie quattro ossa e la mia toga sfiatata e me ne vado, nella luce meneghina che sarebbe il buio in ogni altro luogo.
I am going to grow wings, chemical reaction, hysterical and useless
Ancora una volta scorro sul cellulare il tuo numero per decidere, invariabilmente, che no, non ti chiamerò per un drink, amico inutile che vegeti in questa brutta plaga. E con tutta la buona volontà dei miei vent'anni decido nuovamente di darti una chance, Milano, e di puntare diritto alla piazza del duomo, a quel panettone in salsa gotica che è la cattedrale con la sua madonnaccia dorata.
Male me ne incolse. La MM mi ributta al tuo cospetto, gotica ignorata inutilità, in un'area pedonale asfìttica e bastante per 7 scalpiccianti pedoni, tutti attaccati, l'uno all'altro. Ma se il momentaneo squarcio tra i grattacieli garantisce, sul duomo, almeno una piccola infanzia di cielo, a destra e sinistra sono aggredito dai consueti zufolatori andini e sino-calabro milanesi con le ciglia rifatte. Davvero non se ne può più e fuggo in una via laterale, dove, dopo un bellissimo colonnato medioevale che sembra nascondere una antica lavanderia pubblica, si è incistato uno stand chiccosissimo che annuncia "la settimana della moda milanese". All'interno, producers con le ghette e luride mignotte assortite posano davanti a telecamere accese. Passando, un tizio -anch'egli con le ciglia rifatte - mi porge quello che chiama " un flyer per il week-end". E' il culmine dell'autunno del nostro scontento. Inseguito da cigliati e postulanti flagellanti, guadagno l'entrata nella pancia della metropolitana, per ritrovare usbergo.
Let down and hanging around
Qui sotto non è così male, non è così brutto. Cerco un Bar innocente, e lo trovo. Arredi primi 80', che rimandano a "Drive-in", un'oasi della "Milano da bere" inglobata in una goccia d'ambra.
Seduto a un tavolino, osservo i peruviani buttarsi sulle linee 1, 2 o 3, e mi stupisco a vedere tutta questa gente correre e sgambettarsi, quando passa una carrozza ogni tre minuti.
You know where you are with
"Piacer figlio d'affanno"; la mia felicità è infine starmene qui seduto nella vettura n. 7 dell'intercity 539 per Napoli, delle 16.36, binario 14, in attesa di lasciare l'assedio. Passa il tizio scampanellante con il camolino delle vivande e mi compro un tramezzino che sa di tappeto impolverato. Mentre lo addento, mi viene quasi da piangere e non so perché. Forse è questa ignobile bruttezza ingollata tutta in una volta che ti può affogare. O forse è la visione della capitale morale di questa nazione brutta, che acceca e spossa e stanca. O forse sono io che ho bisogno di una vacanza.
Ferroviere, riportami a casa.
Matteo Marconi
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