martedì 19 novembre 2013

Riso scolato

Il commissario Pierozzi ritornò nella sala interrogatori con un caffè della macchinetta appena fuori. Un caffè, solo per lui, che mescolò a lungo. Inutile mettere lo zucchero se poi non lo fai sciogliere. Lo bevve d'un fiato, si mise seduto e trasse un bel respiro. Scambiò un sguardo d'intesa con l'ispettore e si rivolse verso l'interrogato.
-Allora, Ahmed, ricominciamo.
Se c'era qualcosa che aveva imparato in tutti questi anni di polizia, era capire, catalogare le persone. Non giudicarle, per quello c'era la magistratura. Ma individuare i criminali, separare i delinquenti incalliti dai poveracci, quello ormai gli veniva naturale. Gli sguardi, gli occhi, soprattutto, mandavano segnali che aveva imparato a riconoscere. Ahmed invece se ne stava lì, spalle curve, sguardo basso, superato dagli eventi.
Un poveraccio.
Ahmed sollevò un viso sofferente verso il funzionario di polizia.
-Ahmed, raccontami di questo Youssef.
Ad Ahmed scappò un gemito.
-Te l'ho già detto, io non lo conoscevo.
-Ma lavorava da te?
-Sì.
-E non lo conoscevi?
-No.
-Spiegami 'sto fatto.
-È stato l'imam a presentarmelo. Dopo la salat.
-Dimmi com'è andata.
Ahmed non protestò, nonostante fosse la terza volta che raccontava la stessa storia.
-Io sono un buon musulmano. Vado alla moschea. Prego. Faccio la carità.
Intervenne l'ispettore:
-Fai la carità, eh? Ma per piacere...
-Sta' zitto, Aliprandi. Vai avanti, Ahmed.
-La zakat è il terzo pilastro dell'Islam. Il buon musulmano fa la carità. Io faccio la carità.
-Dimmi dell'imam.
-Dopo la preghiera, mi ha chiamato. Mi ha detto: tu sei un buon musulmano, e io ti chiedo un gesto caritatevole, ti chiedo di aiutare un fratello che è appena arrivato in Italia. Lui è senza lavoro, tu hai la tua attività, prendilo come aiutante. Che Dio ti benedica.
-E questo fratello era...
-Youssef.
-Quindi, cos'hai fatto?
-L'ho preso a lavorare nel mio locale.
Il commissario si sistemò sulla sedia.  Il locale in questione si trovava in una traversa di via Madama Cristina, e forse ci era anche stato, una volta, perché era uno dei migliori kebab della città. Sì, ci era stato, dopo un cinema.
-Il mio è il kebab migliore della città. Ingredienti di prima scelta.
Gli occhi lampeggiarono di orgoglio.
-Ahmed, non c'è traccia di questo Youssef nei tuoi libri paga.
-Lavorava in nero- detta così sembrava rientrare nell'ordine delle cose.
-Nessuno lo ha visto.
-Stava in cucina, dietro. Non parlava italiano.
Pierozzi si rivolse all'ispettore.
-Aliprandi, lo stiamo rintracciando, 'sto imam? E troviamo delle tracce di questo Youssef?
-Se ne sta occupando la scientifica, commissario.
-Senti, seguili, vai a vedere che cosa combinano.
-Signorsì.
-E porta qua l'imam al più presto.
-Appena lo troviamo, commissario.
L'ispettore lasciò la stanza. Il commissario rimase solo con Ahmed.
Scosse la testa.
-Ahmed, la tua storia fa acqua da tutte la parti. Di questo fantomatico Youssef non c'è traccia.
Ahmed non rispose.
-Di dove sei, Ahmed?
-Eh? Io... di Casablanca.
-E perché fai il kebab? Non è un piatto marocchino.
-Si vende bene, non importa di dove sei. Facile da fare e buono, serve poco spazio, si vende bene.
-E Youssef, di dove era?
-Non so, non parlava mai. Non era del Marocco, però.
-Come fai a dirlo?
-Non capiva le mie espressioni. Solo arabo. Non dialetto.
L'istinto gli diceva che non raccontava frottole. Oppure...
Maledizione.
Il commissario tirò fuori tre fotografie.
-Questi li conosci? Guarda bene prima di rispondere.
Ahmed buttò un occhio veloce. Gliele aveva già fatte vedere.
-Questo qua veniva sempre da me, gli altri non so.
-Sai cosa hanno in comune?
-Me lo hai già detto.
-Sono morti, e tutti e tre hanno mangiato da te, ieri sera.
Bussarono, e l'assistente capo entrò a consegnare un foglio al commissario.
-Ahmed- disse dopo aver letto -il veleno era nella salsa allo yogurt.
-Non ne so niente.
-Mi devi spiegare come mai hai deciso di avvelenare quei tre disgraziati. Cosa ti avevano fatto?
Ahmed assunse un'espressione piagnucolosa.
-Te l'ho già detto, non sono stato io. Io... non so... adesso sono rovinato. Perché dovrei avvelenare i miei clienti? È stupido.
-So che erano venuti dei neonazisti, al locale, avevi avuto dei problemi. Avevi fatto una denuncia.
-Sì, ma questo... sei mesi fa, non so. Adesso tutto tranquillo.
-Cos'è stata, una vendetta?
Ahmed continuava a rimanere immobile, e questo lo metteva a disagio. Cos'era? Prostrazione o autocontrollo?
-Uno di questi tre era rasato, lo hai scambiato per...
-Io non ho fatto niente.
-Ahmed, ti trattengo in questura. Almeno fino a quando non troviamo anche solo una traccia di questo Youssef.
La porta si spalancò.
-Commissario!
-Che c'è, Aliprandi?
-Segnalazioni dall'ospedale. Altri cinque casi. Stesso veleno.
Pierozzi guardò di sbieco l'interrogato.
-Tutti hanno...
-...mangiato kebab, commissario...
-Sì, che altro c'è?
-Non tutti nello stesso posto.
-Che vuoi dire?
-Uno ha mangiato da Ahmed, gli altri da altri due kebab della città.
Il commissario aspettò che la notizia si insediasse nel cervello. Cosa voleva dire?
-No, aspetta... da altri due kebab?
-Esatto. Due hanno mangiato in un kebab di corso Giulio Cesare, altri due, in via San Quintino.
Pierozzi visualizzò mentalmente i luoghi, tutti distanti tra di loro. Non si poteva saltare da un posto all'altro nella stessa sera.
-Allora, Ahmed, come cazzo hai fatto?...
-È... è stato Youssef...
-Sta' zitto! Hai dei complici?
Poi, rivolgendosi all'ispettore:
-Chi erano questi morti? Abbiamo delle informazioni? Siamo andati a prendere i gestori dei kebab?
-Li stanno portando qui.
Fuori, i telefoni squillavano senza sosta.
-Cosa sta succedendo lì?
-Commissario- urlò l'assistente -sembra un'epidemia! Continuano ad arrivare notizie di avvelenamenti dagli ospedali.
Il funzionario si voltò verso l'arabo.
-Che cazzo sta succedendo?
Ahmed aveva gli occhi spalancati dal terrore.
-Youssef... è stato Youssef...
-Youssef un cazzo! Youssef te lo sei inventato!
Squillavano, squillavano...
-Commissario, saranno almeno quaranta i morti!
In quel momento ebbe una specie di visione, Lilith la portatrice di disgrazia, Lilith la furia vendicatrice.
-Quanti morti? Quanti?
-Quarantatré, commissario, tutti con gli stessi sintomi di avvelenamento. Ci sono anche dei sopravvissuti.
-Quanti sono? Come stanno? Quando si potranno interrogare?
-Sono cinque, sono tutti in coma.
-Ma tutti? Tutti con il kebab?
-Sì commissario, tutti.
L'ispettore stava scorrendo le notizie sullo smartphone.
-L'ANSA sta lanciando degli aggiornamenti.
-Sugli avvelenamenti?
-Sì.
-Come fanno a sapere già...
Adesso era lui ad avere la nausea, ed era madido di sudore. Allentò un bottone della camicia.
-Venga qui, commissario!
Qualcuno aveva acceso il televisore.
"...a Milano si segnalano cinquantasette casi di morte per avvelenamento. Tutte le vittime avevano mangiato kebab la sera prima, in diversi locali cittadini. Casi analoghi si stanno registrando anche a Firenze, Torino, Napoli, Roma, Catania, Ancona. Nuove segnalazioni da tutte le regioni italiane..."
-Ma che cazzo...?
"...i morti stanno rapidamente raggiungendo il migliaio. Gli investigatori valutano che possa trattarsi di un atto di terrorismo, un'azione coordinata da una regia legata alla jihad islamica..."
-È stato Youssef...- ripeté Ahmed come una trenodia.
Youssef.
Oh, sì, Ahmed aveva ragione. Pierozzi cominciava a capire.
Adesso li vedeva, vedeva formarsi dentro di sé l'immagine di decine, centinaia di Youssef, anzi, no: un esercito di Youssef, pronti ad entrare in Italia, attendere con pazienza di essere collocati nei kebab, a preparare salsine e lavare insalata, fino al momento del via, tutti insieme... ora! Versate il veleno nella salsa dello yogurt... bravi! E adesso sparite.
Era possibile organizzare un avvelenamento collettivo di questa portata?
Il commissario Pierozzi barcollò e dovette appoggiarsi alla parete. Gli sembrò fredda e ruvida, come la voce di una donna quando ti dice che è finita.
Sulla porta un agente stava spintonando due arabi ammanettati, altri due poveracci come Ahmed. Nessuna traccia dell'imam, ovviamente.
"...un'azione deliberata...", diceva qualcuno alla tv.
A Pierozzi si annebbiò la vista. Ma per fortuna la sera prima aveva mangiato in casa. Riso scolato.

Aldo Quario

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