Il commissario Pierozzi ritornò
nella sala interrogatori con un caffè della macchinetta appena fuori. Un caffè,
solo per lui, che mescolò a lungo. Inutile mettere lo zucchero se poi non lo
fai sciogliere. Lo bevve d'un fiato, si mise seduto e trasse un bel respiro.
Scambiò un sguardo d'intesa con l'ispettore e si rivolse verso l'interrogato.
-Allora, Ahmed, ricominciamo.
Se c'era qualcosa che aveva
imparato in tutti questi anni di polizia, era capire, catalogare le persone.
Non giudicarle, per quello c'era la magistratura. Ma individuare i criminali,
separare i delinquenti incalliti dai poveracci, quello ormai gli veniva
naturale. Gli sguardi, gli occhi, soprattutto, mandavano segnali che aveva
imparato a riconoscere. Ahmed invece se ne stava lì, spalle curve, sguardo
basso, superato dagli eventi.
Un poveraccio.
Ahmed sollevò un viso sofferente
verso il funzionario di polizia.
-Ahmed, raccontami di questo
Youssef.
Ad Ahmed scappò un gemito.
-Te l'ho già detto, io non lo
conoscevo.
-Ma lavorava da te?
-Sì.
-E non lo conoscevi?
-No.
-Spiegami 'sto fatto.
-È stato l'imam a presentarmelo.
Dopo la salat.
-Dimmi com'è andata.
Ahmed non protestò, nonostante
fosse la terza volta che raccontava la stessa storia.
-Io sono un buon musulmano. Vado
alla moschea. Prego. Faccio la carità.
Intervenne l'ispettore:
-Fai la carità, eh? Ma per
piacere...
-Sta' zitto, Aliprandi. Vai
avanti, Ahmed.
-La zakat è il terzo pilastro
dell'Islam. Il buon musulmano fa la carità. Io faccio la carità.
-Dimmi dell'imam.
-Dopo la preghiera, mi ha
chiamato. Mi ha detto: tu sei un buon musulmano, e io ti chiedo un gesto
caritatevole, ti chiedo di aiutare un fratello che è appena arrivato in Italia.
Lui è senza lavoro, tu hai la tua attività, prendilo come aiutante. Che Dio ti benedica.
-E questo fratello era...
-Youssef.
-Quindi, cos'hai fatto?
-L'ho preso a lavorare nel mio
locale.
Il commissario si sistemò sulla
sedia. Il locale in questione si trovava
in una traversa di via Madama Cristina, e forse ci era anche stato, una volta,
perché era uno dei migliori kebab della città. Sì, ci era stato, dopo un
cinema.
-Il mio è il kebab migliore della
città. Ingredienti di prima scelta.
Gli occhi lampeggiarono di
orgoglio.
-Ahmed, non c'è traccia di questo
Youssef nei tuoi libri paga.
-Lavorava in nero- detta così
sembrava rientrare nell'ordine delle cose.
-Nessuno lo ha visto.
-Stava in cucina, dietro. Non
parlava italiano.
Pierozzi si rivolse
all'ispettore.
-Aliprandi, lo stiamo
rintracciando, 'sto imam? E troviamo delle tracce di questo Youssef?
-Se ne sta occupando la
scientifica, commissario.
-Senti, seguili, vai a vedere che
cosa combinano.
-Signorsì.
-E porta qua l'imam al più
presto.
-Appena lo troviamo, commissario.
L'ispettore lasciò la stanza. Il
commissario rimase solo con Ahmed.
Scosse la testa.
-Ahmed, la tua storia fa acqua da
tutte la parti. Di questo fantomatico Youssef non c'è traccia.
Ahmed non rispose.
-Di dove sei, Ahmed?
-Eh? Io... di Casablanca.
-E perché fai il kebab? Non è un
piatto marocchino.
-Si vende bene, non importa di
dove sei. Facile da fare e buono, serve poco spazio, si vende bene.
-E Youssef, di dove era?
-Non so, non parlava mai. Non era
del Marocco, però.
-Come fai a dirlo?
-Non capiva le mie espressioni.
Solo arabo. Non dialetto.
L'istinto gli diceva che non
raccontava frottole. Oppure...
Maledizione.
Il commissario tirò fuori tre
fotografie.
-Questi li conosci? Guarda bene
prima di rispondere.
Ahmed buttò un occhio veloce.
Gliele aveva già fatte vedere.
-Questo qua veniva sempre da me,
gli altri non so.
-Sai cosa hanno in comune?
-Me lo hai già detto.
-Sono morti, e tutti e tre hanno
mangiato da te, ieri sera.
Bussarono, e l'assistente capo
entrò a consegnare un foglio al commissario.
-Ahmed- disse dopo aver letto -il
veleno era nella salsa allo yogurt.
-Non ne so niente.
-Mi devi spiegare come mai hai
deciso di avvelenare quei tre disgraziati. Cosa ti avevano fatto?
Ahmed assunse un'espressione
piagnucolosa.
-Te l'ho già detto, non sono
stato io. Io... non so... adesso sono rovinato. Perché dovrei avvelenare i miei
clienti? È stupido.
-So che erano venuti dei
neonazisti, al locale, avevi avuto dei problemi. Avevi fatto una denuncia.
-Sì, ma questo... sei mesi fa,
non so. Adesso tutto tranquillo.
-Cos'è stata, una vendetta?
Ahmed continuava a rimanere immobile,
e questo lo metteva a disagio. Cos'era? Prostrazione o autocontrollo?
-Uno di questi tre era rasato, lo
hai scambiato per...
-Io non ho fatto niente.
-Ahmed, ti trattengo in questura.
Almeno fino a quando non troviamo anche solo una traccia di questo Youssef.
La porta si spalancò.
-Commissario!
-Che c'è, Aliprandi?
-Segnalazioni dall'ospedale.
Altri cinque casi. Stesso veleno.
Pierozzi guardò di sbieco
l'interrogato.
-Tutti hanno...
-...mangiato kebab,
commissario...
-Sì, che altro c'è?
-Non tutti nello stesso posto.
-Che vuoi dire?
-Uno ha mangiato da Ahmed, gli
altri da altri due kebab della città.
Il commissario aspettò che la
notizia si insediasse nel cervello. Cosa voleva dire?
-No, aspetta... da altri due
kebab?
-Esatto. Due hanno mangiato in un
kebab di corso Giulio Cesare, altri due, in via San Quintino.
Pierozzi visualizzò mentalmente i
luoghi, tutti distanti tra di loro. Non si poteva saltare da un posto all'altro
nella stessa sera.
-Allora, Ahmed, come cazzo hai
fatto?...
-È... è stato Youssef...
-Sta' zitto! Hai dei complici?
Poi, rivolgendosi all'ispettore:
-Chi erano questi morti? Abbiamo
delle informazioni? Siamo andati a prendere i gestori dei kebab?
-Li stanno portando qui.
Fuori, i telefoni squillavano
senza sosta.
-Cosa sta succedendo lì?
-Commissario- urlò l'assistente
-sembra un'epidemia! Continuano ad arrivare notizie di avvelenamenti dagli
ospedali.
Il funzionario si voltò verso
l'arabo.
-Che cazzo sta succedendo?
Ahmed aveva gli occhi spalancati
dal terrore.
-Youssef... è stato Youssef...
-Youssef un cazzo! Youssef te lo
sei inventato!
Squillavano, squillavano...
-Commissario, saranno almeno
quaranta i morti!
In quel momento ebbe una specie
di visione, Lilith la portatrice di disgrazia, Lilith la furia vendicatrice.
-Quanti morti? Quanti?
-Quarantatré, commissario, tutti
con gli stessi sintomi di avvelenamento. Ci sono anche dei sopravvissuti.
-Quanti sono? Come stanno? Quando
si potranno interrogare?
-Sono cinque, sono tutti in coma.
-Ma tutti? Tutti con il kebab?
-Sì commissario, tutti.
L'ispettore stava scorrendo le
notizie sullo smartphone.
-L'ANSA sta lanciando degli
aggiornamenti.
-Sugli avvelenamenti?
-Sì.
-Come fanno a sapere già...
Adesso era lui ad avere la
nausea, ed era madido di sudore. Allentò un bottone della camicia.
-Venga qui, commissario!
Qualcuno aveva acceso il
televisore.
"...a Milano si segnalano
cinquantasette casi di morte per avvelenamento. Tutte le vittime avevano
mangiato kebab la sera prima, in diversi locali cittadini. Casi analoghi si
stanno registrando anche a Firenze, Torino, Napoli, Roma, Catania, Ancona.
Nuove segnalazioni da tutte le regioni italiane..."
-Ma che cazzo...?
"...i morti stanno
rapidamente raggiungendo il migliaio. Gli investigatori valutano che possa
trattarsi di un atto di terrorismo, un'azione coordinata da una regia legata
alla jihad islamica..."
-È stato Youssef...- ripeté Ahmed
come una trenodia.
Youssef.
Oh, sì, Ahmed aveva ragione.
Pierozzi cominciava a capire.
Adesso li vedeva, vedeva formarsi
dentro di sé l'immagine di decine, centinaia di Youssef, anzi, no: un esercito
di Youssef, pronti ad entrare in Italia, attendere con pazienza di essere
collocati nei kebab, a preparare salsine e lavare insalata, fino al momento del
via, tutti insieme... ora! Versate il veleno nella salsa dello yogurt... bravi!
E adesso sparite.
Era possibile organizzare un
avvelenamento collettivo di questa portata?
Il commissario Pierozzi barcollò
e dovette appoggiarsi alla parete. Gli sembrò fredda e ruvida, come la voce di
una donna quando ti dice che è
finita.
Sulla porta un agente stava
spintonando due arabi ammanettati, altri due poveracci come Ahmed. Nessuna
traccia dell'imam, ovviamente.
"...un'azione
deliberata...", diceva qualcuno alla tv.
A Pierozzi si annebbiò la vista. Ma per fortuna la
sera prima aveva mangiato in casa. Riso scolato.
Aldo Quario
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