martedì 1 ottobre 2013

Fine di un amore

Il bosco era silenzioso, la luna piena; da sotto gli arbusti uscì allo scoperto. 
Tutto era illuminato, più pericoloso ma più esaltante. L’aria era fresca, il vento soffiava leggero facendo muovere i rami degli alberi, le stelle brillavano tra le rare nuvole.
Dove dirigersi per cacciare? Verso la radura sul fiume o vicino alle case isolate?
Ogni plenilunio aveva uno strano indefinito appuntamento che l’aiutava a decidere. Si avviò da Lui verso i giardini.
La prima volta che lo aveva visto il terrore l’aveva afferrata, gli uomini sanno  dare solo la morte.
Lui aveva un fucile e un berretto in testa, stava fermo nel centro di un piccolo prato recintato. Da allora lo aveva sempre, misteriosamente, ritrovato lì, immobile nonostante la sua posizione: una gamba davanti all’altra, il piede dietro sollevato. Non emanava odori, era bellissimo, di un biancore struggente simile alla neve.  
Lei odiava gli uomini, tutti colorati e perfidi, le bastava ricordare l’orrore che aveva visto dipinto negli occhi di qualche compagna sopravvissuta a infidi e violenti attacchi.
Poi c’era stata la sua personale esperienza: una stretta salda intorno alla gola, un terrore infinito. Addio bosco, neve, amicizie, amori, addio. Che  disgusto sentirsi toccati da un essere privo di peli e dal muso piatto.
Inspiegabilmente quell’essere  l’ accarezzò e le parlò tenero, mentre lei tremava, inspiegabilmente poi la lasciò fuggire. Lei corse via ad occhi chiusi quasi, corse fino a casa anche se fuggendo e colpendo muretti e  cespugli si rovinò fianchi, petto, naso. 
Di quella avventura le rimase, attaccato al collo, qualcosa che emetteva deboli suoni. 
 Salva! Avrebbe ancora potuto avere figli e passare notti all’aperto,  correre veloce attraverso la strada.
Il “suo” uomo, quello che trovava sempre fermo nel giardino pubblico, non c’entrava con tutto questo. Lui aveva uno strano sguardo buono. Come gli alberi  si lasciava accarezzare dall’aria senza scomporsi né coprirsi il volto . Tanti  passavano  e lo guardavano, come faceva lei, addirittura qualcuno lasciava fiori e alloro intrecciato. Lui accettava questi tributi con grazia sorridente. 
Pensava sempre più spesso a Lui, gli raccontava i suoi pensieri e i suoi problemi, arrivò a pregarlo, a chiedergli di non farle più incontrare nessuno che potesse farle del male. 
Era così diverso dagli altri fuori, che doveva esser diverso anche dentro.
Quella sera si fermò a lungo davanti all’uomo con il fucile, la cui  punta, rivolta verso l’alto, terminava con un brillante coltello. Gli fece le solite richieste- ispirami, proteggimi, salvami-  e poi si avviò  verso il fiume. C’era una radura da attraversare prima di reimmergersi nel buio protettivo del bosco.
Un  piccolo d’uomo  si trovava nel centro del prato e l’osservava. Rimase immobile. 
Lui  si muoveva ondeggiando, rideva, le parlava. Lei indietreggiò un poco per prendere tempo.   Sulla carnagione chiara di lui, avrebbe potuto lasciare i segni che erano stati inflitti alle sue compagne, avrebbe potuto avventarsi su quegli occhi così splendenti e fiduciosi. Incauto, avanzava con le mani tese, le si rivolgeva con  suoni acuti e squillanti. 
Era il momento giusto per graffiarlo, la guancia sarebbe diventata  rossa, gli occhi non avrebbero più brillato, dopo. Si sentirono delle voci, il piccolo si girò un attimo, lei preferì fuggire. Corse via affannosamente, rabbiosa per non averlo ferito e sollevata di non averlo fatto.
L’ Uomo non l’aveva protetta dai brutti incontri, questa volta. 
Voleva rivederlo, schernirlo, sentire se davanti a Lui provava ancora affetto, ammirazione, orgoglio della loro silenziosa comunicazione.
Non  aveva i poteri che  si era immaginata; non era né buono né cattivo, forse non era proprio niente. Doveva rassegnarsi, lui non aveva grandi poteri e non aveva un legame speciale con lei. 
Non esistono relazioni speciali, pensò correndo disperata e  consapevole. Non voleva nemmeno degnarlo della sua attenzione ma con la coda dell’occhio, quando arrivò vicina al giardino, lo vide circondato da un gruppo di ragazzi. 
C’era qualcosa di diverso, si fermò, lontana. In alto, sulla punta acuminata con cui terminava il fucile, era infilzato un gatto. 
Si avvicinò tra i cespugli. Del sangue gocciolava dalla testa immobile dell’animale. Aveva gli occhi spalancati, la luna si rifletteva su quegli occhi. I giovani guardavano e ridevano.
Rimase  nascosta e silenziosa di fronte a tanta inspiegabile crudeltà. 
Era triste, tristissima, non solo per la morte dell’animale (per quale ragione era stato ucciso e da chi?) ma perché aveva perduto  quella strana specie d’amore  che la univa a lui.
Arrivò davanti casa, entrò veloce, nascose il muso nella sua bella lunghissima folta coda. Ora era davvero sola e sperduta. Non c’era nessuno al mondo che  potesse aiutare e salvare una povera volpe argentata, nessuno.

Alida Pellegrini

1 commento:

  1. Alida come sempre, riesce in poche righe ad andare in fondo fino a farti vibrare l'anima.

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