martedì 9 aprile 2013

Voi siete Fantomas


Sono un po’ stanco negli ultimi tempi. Da quando il polpo rosa vive sulla mia testa provo un certo fastidio. A volte mi confida brani enigmatici della sua saggezza. Ieri per esempio ha detto: “Quando tornerò nel frigo accanto alle sardine in scatola, scriverò una canzone d’amore”.
C’è una sardina molto graziosa nella scatolina di latta, vicino al barattolo della mayonese. Me lo ha detto lui più di una volta. “Non hai freddo nel frigo?”, gli ho chiesto. Non mi ha risposto. Lui non lo fa mai.
Crede di essere Frank Sinatra e mi ha quasi convinto. La sua versione di New York New York, è come un gospel di balene nell’oceano blu cobalto. Anche il mio piumino è blu. Mi tiene caldo se ho freddo. Non l’ ho comprato io. Io non compro mai nulla. Ci pensate voi. 
È nella tua testa.
I miei capelli non vedono di buon occhio il polpo. Ci ho riflettuto molto. La verità è che la forfora è gelosa. Ecco perché. 
Questi pensieri io non li vorrei. Arrivano e vanno avanti come in un film. Succede da quando è arrivato il polpo. Non posso fermare né lui né la forfora, mi capite? Pensavate che ci sarei riuscito? Mi avete detto: “Sei malato Leòn, è per il tuo bene”. Beh, sarà anche per il mio bene ma io il polpo non lo digerisco.
Ho passato mesi a lavorare alla tinteggiatura del mio mondo interiore, me lo avete suggerito voi. 
“Devi scendere in profondità, guardarti dentro, leggere il tuo passato e rinnovarti, Leòn.”
“Solo così potrai guarire, Leòn.”
E poi il fallimento è arrivato come un fulmine dritto su una pozza d’acqua. Scarsi risultati. Anzi no, l’altro giorno ho detto la parola ragguardevole solo cinque volte di fila invece di dieci. Forse i tempi della guarigione si stanno dimezzando, ho pensato.
Ingenuo. Me lo ha detto anche la Lola, la cassiera del cinema Splendor. Ha le ciglia finte e i capelli cotonati e mastica sempre un quarto di gomma. L’ ho capito dai movimenti piccoli della mascella. Un giorno la inviterò a uscire con me. Andremo sul Ponte alle Grazie a vedere le nutrie.
È nella tua testa.
Pochi progressi, dicevo. Rinfrescare le pareti del proprio mondo non è semplice e io sento di aver fatto poco. Non lo so. Ditemelo voi.
Mi avete studiato per tutto questo tempo. Io ero il foglio e voi lo scanner. 
“Devi ridipingere le pareti del tuo io, scava, leggiti dentro.”, dicevate seri. Non sono capace di farlo. Se solo il polpo non parlasse.
Quando vi guardo vedo Fantomas. Mi chiede come sto e poi salta su qualche treno in corsa. 
È nella tua testa.
Ce l’ ho messa tutta per rimettere in moto il meccanismo inceppato, ci tenevo davvero. Dopo mi sono lasciato andare, non mi importava più. E poi Pietro Mascagni insisteva per darmi quella parte. Mi voleva come Turiddu. Ero contento che me lo avesse chiesto. Ma Fantomas faceva no con la testa.
È faticoso stare al passo con un treno in corsa. Non mi dispiace, sia chiaro, il controllore è mio amico. Ha un polpo verde sulla testa. I nostri polpi sono affiliati nella yakuza, tatuati sui tentacoli. 
Preferisco vivere nell’azione, sui treni di Fantomas, invece di mettere calce e mattoni sul mio passato, seduto in questa stanza che puzza di lacci emostatici. Il passato è morto. Portate i fiori sulla sua tomba. 
Certe volte però la poltrona è comoda. Il polpo concorda. È più facile per lui quando sono seduto. Non risponde, lo sapete, ma dice sì e no col testone rosa.
È nella tua testa.
Quando sento il fallimento vicino, uso le parole-civetta. Cinghia e sifone, per esempio. Quando le pronuncio, voi usate la penna sui taccuini. Dovreste vedere le vostre facce quando dico ‘cinghia’ o ‘sifone’. Dovreste vederle.
Il controllore mi porta l’acqua e il purè con la svizzera al sangue. Quando mangio, la tv appesa al muro si riempie di sinusoidi e suona sempre la sessa nota. Bip. Bip. Bip. Anche adesso. 
Il polpo verde del controllore all’improvviso dice una cosa che avrei voluto sentire molto tempo fa: “Ti aiuto a scappare.”, e apre la porta. “Nessuno ti vedrà.” 
Non è nella mia testa, stavolta. Lo so, come so che sono chiuso in questa stanza da mesi. E voi, con i vostri camici bianchi, siete al di là del vetro, pieno di impronte di mayonese. 
Io guardo la finestra. Piove. Non ho voglia di bagnarmi. 
Bip. Bip. Bip.


Elisa Minì


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