La goccia d’acqua aveva freddo.
Ma lassù, a quota ottomila, era un fatto abbastanza normale.
Poco fa si stava divertendo, assieme alle sue sorelle, trasportata da un vento gentile attraverso il cielo.
D’un tratto, circolò la voce che occorrevano pulviscolo e cristalli di ghiaccio. Presa dal panico, Minù ne arraffò grandi quantità. Sembravano gradire. Con un certo disappunto, notò che le particelle raccolte l’avevano fatta ingrassare.
Un attimo dopo, precipitava giù.
Hai voglia di gridare. Il rombo del tuono copriva la sua voce, né le altre sembravano curarsi della sua agitazione. Iu-huu folleggiavano ridendo. Ci ammazzeremo, si sgolava lei.
Desiderò ardentemente un paio di occhiali da aviatore. Le avrebbero fatto un gran comodo, lungo la discesa.
Durò un’eternità.
Ignorando quale fosse la preghiera più efficace, le recitò tutte.
Vide dall’alto una città.
Le veniva incontro a velocità impressionante.
Sperò di non schiantarsi su quello strano ponte. Ma passò oltre, mentre le più sfortunate terminavano l’avventura, contro i piloni rossi.
Terrorizzata, si trovò sospesa su un fiume senza grandi pretese, dall’aria mansueta. Decise di non fidarsi.
Una folata di vento, la spinse verso un grande parco. Morire su un albero almeno era poetico.
Niente. Si trovò proiettata sui tetti. Mancato per un soffio il campanile di una grande chiesa, si stava facendo il segno della croce, quando la corsa pazzesca si interruppe, nella vasca di una piccola fontana.
Fu un atterraggio morbido. Quando le smise di girare la testa, ci furono delle presentazioni. Le nuove sorelle, assicurarono che lì, si stava magnificamente. Zona tranquilla, basso rischio di evaporazione.
Più tardi, satura di quel cicaleccio, Minù si girò sul dorso, a galleggiare, osservando compiaciuta il baldacchino verde sopra la sua testa.
Passarono i giorni. E le settimane. Dimagrì, finalmente. Ma si annoiava. La vasca era piccola e lei rimpiangeva le corse a rompicollo con le nuvole.
Conobbe un paio di piccioni, che perlustravano la zona. Hop era più sveglio. Là, sognava ad occhi aperti. Puntò sul primo. C’era stato un patto. Loro non l’avrebbero bevuta, in cambio delle sue barzellette. Quelle sui carabinieri andavano forte.
Quando le foglie cominciarono a cadere, annunciò a tutte che sarebbe tornata nel cielo.
Le sorelle dissero che era pazza. La isolarono. Se ne fregò altamente. Delle provinciali.
Un giorno, che Là stava sonnecchiando con la testa sotto l’ala, in precario equilibrio sul bordo della vasca, Minù prese Hop in disparte e gli spiegò cosa doveva fare.
Non se ne parla nemmeno, la bocciò seduta stante il piccione.
Pensa, gli disse lei, volerai dove nessuno dei tuoi fratelli è mai arrivato. Rimarrai negli annali. Gli occhi di Hop, due piccoli bottoni neri, si illuminarono. Minù, consumata affarista, aggiunse che gli avrebbe presentato Livingston. Impressionato, Hop finalmente accettò. Perbacco, quel gabbiano era il mito di tutti i volatili.
Dovrà essere questo giovedì, precisò lei. Aveva calcolato tutto. Le correnti ascensionali, i venti, l’angolo di ascesa e, chiaramente, il passaggio di un fronte nuvoloso diretto in Australia. Voleva vedere i canguri.
Partirono all’ora del tè. Hop inzuppò l’ala nella vasca e Minù salì a bordo, sistemata tra le piume.
I primi mille metri furono una passeggiata.
Lei si godeva l’aria sulla faccia, osservando la città che diventava sempre più piccola. A duemila metri, il propulsore ausiliario si staccò e Là rimase sospeso nel cielo, facendo il saluto militare, mentre loro salivano ancora.
A quota quattromila, Hop ebbe una crisi respiratoria. Minù gli cedette un po’ del suo ossigeno, evitando per un soffio lo stallo. I colpi d’ala tornarono costanti e la ruga di preoccupazione tra le sopracciglia della goccia, si spianò.
Raggiunsero le nuvole, sparse nell’azzurro. Ce n’era per tutti i gusti. Minù scelse quella a forma di scivolo. Hop le strizzò l’occhio, eseguendo una virata morbida. Quando furono sopra la matassa bianca, lei si preparò a saltare, mentre il piccione rallentava. Gli mandò un bacio, prima di scomparire dentro alla nuvola.
Hop precipitò, svenuto per la fatica. Minù, che stava dando aria alla sua nuova stanza, lo scorse dalla finestra.
Jonathan! gridò.
Un essere splendido, che volteggiava nel cielo, interruppe a metà un loop impeccabile. Che succede, le domandò. La goccia, piangendo, indicò in basso, la forma scura che cadeva in picchiata verso il suolo.
Il gabbiano partì a razzo, assumendo una forma aereodinamica. Andò giù come un piombo, superando il piccione. Poi dispiegò le ali, spezzando la picchiata e afferrò Hop per la collottola.
Perché mi schiaffeggi, mormorò lui, aprendo gli occhi.
Livingston, attese con pazienza che l’altro si fosse ripreso. Poi parlarono, a quota più ragionevole.
Dopo un mese, la Hop Airlaines & Soci era una realtà.
Minù procurava le clienti. Scoprì un mondo di gocce, ribelli come lei. Livingston faceva l’ultimo tratto, quello più in alto, prendendo in consegna le passeggere da Hop, alla stazione intermedia. Là, naturalmente, era il personale di terra.
Che io sappia, i voli sono ancora in essere.
Alessandro Leone
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