lunedì 22 ottobre 2012

Basta un tocco


Adele gli telefonò dalla festa. “Mi sto divertendo, Mike. Tutti mi chiedono di te. Perché non vieni, una volta tanto?” Non gli disse che un tale Jim Snate la stava corteggiando.
Mike disse che era occupato al lavoro, ma non era vero. Non gli piacevano le feste, le chiacchiere.  Non era bravo a ballare. Non era un tipo molto allegro. Adele ne era un po’ stufa. Si lamentava che Mike non la guardava, non le parlava.  La toccava soltanto quando aveva voglia di fare sesso. 
Adele era sulla quarantina, non proprio graziosa. Rimaneva con Mike perché nessun altro la invitava a uscire.
La sera dopo, nella tavola calda dove si erano dati appuntamento, Adele gli raccontò di come avesse ballato tutta la festa con questo Jim Snate, e come alla fine ci fosse andata a letto. Mike la guardò sorpreso ma non chiese dettagli, anche se lei chiaramente aveva voglia di fornirglieli. Ora lo fissava, dura.
Mike sapeva che avrebbe dovuto mostrare rabbia. La sua donna era andata a letto con un altro uomo.  Doveva riconquistare la sua femmina, il suo territorio, ma non era il suo stile. Si alzò in piedi, si infilò la giacca e si diresse verso la porta.
Adele si aspettava una simile reazione. Gli urlò dietro, “Jim è cieco, Mike. Ma anche così mi ha guardato più di te. Mi ha anche toccato più di quanto mi tocchi tu, e meglio.”
Gli altri clienti della tavola calda si voltarono. Mike si comportò come se non avesse sentito, come se Adele non stesse gridando a lui, e uscì. Non vivevano insieme. Lei aveva alcune cose a casa sua che appena arrivato avrebbe scaraventate giù in strada dalla finestra.
Ma quando giunse a casa, Mike non fece nulla. Nemmeno riusciva a smettere di pensare ad Adele con quell'uomo cieco. Lo immaginava nudo, con addosso gli occhiali scuri, che toccava la sua donna, ora la sua ex-donna. Faceva scorrere le mani, leggendo il suo corpo nel modo in cui i ciechi leggono i loro libri. Le sue dita percorrevano i dossi, le curve del corpo di Adele, tutte le pianure lisce, i ciuffi, come se stessero sfiorando il Braille, quei puntini in rilievo sulla carta che un tipo come Mike, che ci vedeva, non avrebbe mai capito, che non avrebbe mai avuto bisogno di capire. 

 Mike non era arrabbiato con questa talpa-casanova. E poi non si prende a pugni un cieco.  La colpa era di Adele. La rabbia montava, però. Voleva fare qualcosa, voleva conoscere questo tizio cieco che va alle feste e ha successo con le donne. 
Tutti i ciechi che Mike aveva visto gli erano sembrati vulnerabili e malsicuri. Li aveva visti camminare a tentoni per le strade, con i loro esili bastoni bianchi. Alcuni mendicavano, e si era domandato se facevano solo finta di non vedere. Si ricordava di uno che doveva essere rimasto accecato in un incendio. I suoi occhi ustionati erano bianchi e gialli, senza sopraccigli, solo cicatrici.
Mike spense le luci, chiuse gli occhi e si diresse verso la cucina. Aveva bisogno di bere. Sbatté le ginocchia contro i mobili, inciampò nel tappeto. Si tagliò un dito mentre cercava l’apribottiglie.

Decise di telefonare agli amici di Adele che avevano dato la festa. Dovevano per forza aver notato ciò che stava succedendo a casa loro la sera prima e averla vista andare via con un tipo che non era lui. Forse non sapevano ancora che lui sapeva del tradimento, e che lui e Adele non stavano più insieme.
Marta, l'amica di Adele, rispose al telefono.  Marta aveva capelli rossi, forme strabilianti. Forse Jim Snate non sapeva che Marta era rossa, o che aspetto avesse il rosso. Forse era stato a letto anche con Marta. Forse era il tipo d’uomo —cieco o non cieco—che le donne trovano irresistibile. Mike sapeva che esistono uomini così, e che lui non era tra quelli. 
Mike disse che gli dispiaceva di non essere potuto venire, la sera prima. Disse di aver sentito che lei e Ben avevano dato una bellissima festa e che Adele aveva conosciuto un tipo veramente in gamba, un certo Jim Snate. Anche a lui avrebbe fatto piacere conoscerlo, magari potevano uscire tutti insieme, una di queste sere.
Captò un certo nervosismo quando Marta disse, “Ma certo…Oh, accidenti, Mike—non ce l’ho a portata di mano il numero di Jim. Ce l'avrà Ben...che lo conosce per motivi di lavoro. Chiama Ben al suo ufficio.”
Così, Mike chiamò Ben in ufficio dove, da bravo avvocato, restava sempre fino a tardi.
“Senti, Ben, vorrei il numero di Jim Snate.” Tra uomini si è diretti, con le donne bisogna stare attenti.  Essere diretti con le donne non porta lontano. A meno che tu non sia un affascinante, irresistibile uomo cieco. Forse Jim Snate era stato molto diretto, con Adele. Mike no, tantomeno al loro primo incontro. Tentò un primo bacio solo dopo una settimana, e questo perché Adele gli chiese, ma non ti piaccio?
Ben con voce seria disse, “Va bene, Mike, ok.” E gli diede il numero. Mike aveva chiesto e Ben aveva dato, ecco tutto.

Mike voleva bere ancora prima di parlare con Jim Snate, trovarsi in un bar pieno di fumo e clienti dall’aria poco raccomandabile, con sottofondo di suoni di un mondo maschile. C’era a pochi isolati un posto più o meno così.
Il telefono squillò a lungo. Mike s’immaginò Jim che cercava l’apparecchio, brancolando nel suo buio.
Finalmente “Pronto. Parla Jim Snate.”
“Jim, sono Mike. Io e te non abbiamo avuto il piacere di conoscerci, ma credo che tu abbia conosciuto Adele Layton.”
“Ehm…sì.”
“Adele era la mia donna, Jim. Ora non lo è più.”
“Che peccato, Mike. Mi dispiace sentirlo.”
“È per questo che vorrei conoscere te, Jim.”
“Certo, Mike. Capisco. Va benissimo. Dove ti trovi?”
Mike si aspettava delle scuse, invece Jim Snate il Cieco era ora diretto verso l'O’Casey’s Bar. Mike si sedette e ordinò ancora da bere.  Non aveva pensato di chiedergli dove abitasse, forse doveva aspettarlo per ore. Se lo immaginava mentre camminava tippettante con l’esile bastoncino bianco cercando un postaccio per bevitori incalliti.

Un uomo vestito di grigio scuro entrò nel bar dopo nemmeno venti minuti. Jim Snate si fermò nel mezzo della sala e piegò il suo bastoncino bianco con precisione, clik, clik. Mise il bastoncino nella tasca interna della giacca e disse, “Mike.”
Mike si alzò e si avvicinò. Jim Snate non portava gli occhiali scuri. Non vi era nulla di vulnerabile o malsicuro in lui. Se non fosse stato per il bastoncino, non si sarebbe detto che fosse cieco, e ora il bastoncino non si vedeva più. Quanto tempo ci sarà voluto ad Adele, prima di accorgersene? Mike disse, “Eccomi qua, Jim.”
Non si dettero la mano. Jim disse, “Lascia che ti prenda il braccio, Mike.”
Condurre Jim fino al tavolo era una sensazione strana. Due uomini che avrebbero dovuto essere rivali, abbracciati così in un bar pubblico. 
Venne la cameriera. Jim ordinò uno scotch. La cameriera gli sorrise, ma lui non lo vide e quindi non reagì. Mike studiò il suo viso, cercava di vedere cosa vi fosse di tanto irresistibile. Jim disse, “Cos’hai in mente, Mike?”
Mike non rispose. Non sapeva cosa dire. Ecco Jim, seduto davanti a lui dietro suo invito, e ora non sapeva più perché gli aveva telefonato, o cosa fare.
Rimasero in silenzio. A Mike sembrava che anche Jim stesse studiando il suo viso, anche se non era possibile. Jim non vedeva se non un’opaca nerezza, o qualunque cosa vedano i ciechi. 
“Guarda, Mike…mi piacerebbe stare qui con te. Non è che non stia bene, anzi, ma c’è una festa. Ho promesso che ci sarei andato. Perché non mi accompagni?”
L’invito era così inaspettato che fu impossibile rifiutarlo. Mike, che non andava alle feste, che aveva ancora voglia di pestare quell'uomo cieco che aveva trombato la sua donna dopo una festa a cui lui non aveva voluto andare, stava per andare a una festa proprio con lui.

Pagarono conti separati alla cameriera, lasciandole entrambi mance più che generose, e si alzarono. “Lascia che ti prenda di nuovo il braccio, Mike.”
Uscendo dal bar sembravano amici per la pelle. 
La festa era in un posto non lontano dal bar, disse Jim. Potevano andarci a piedi, era una bella serata per fare due passi. Rimirando l’elegante completo che indossava Jim, Mike disse, “Non sono vestito da festa, Jim.”
“Non importa, Mike. Quel che hai addosso andrà benissimo, vedrai.”

Sebbene in teoria fosse Mike a condurre, era Jim a dirigere. Nel mezzo di un isolato alberato, Jim gli diede uno strattone, frenandolo come un cavallo da tiro. Tastò una fila di bottoni, contandoli forse. Mike vide quelle stesse dita affusolate, con tanto di manicure, che stimolavano i capezzoli di Adele.
Suonò, la porta si aprì. Jim precedette Mike all’ascensore. La hall del palazzo era arredato in stile moderno, pavimento e pareti in marmo, un labirinto di mobili di cuoio nero e metallo cromato. Salirono in un silenzioso ascensore rivestito di legno scuro. Jim aveva accarezzato anche i tasti dell’ascensore. “Bel posto,” disse Mike. Jim inspirò, scosse le spalle. 
Una donna alta aprì la porta. I capelli le ricadevano sulle spalle in una matassa caotica. Era vestita, come Jim, di grigio scuro. Mike ebbe voglia di toccarle il vestito. Aveva gli occhi blu. L’occhio sinistro guardava parecchio a sinistra.
“Ciao Gwen. …ho portato un amico. Ti presento Mike.”
Mike le porse inutilmente la mano.  
“Ciao Mike,” disse la donna. “Sono contenta che tu sia venuto.” 

Jim chiuse dietro di loro la porta e Mike quasi inciampò. Entrarono in un grande salotto fiocamente illuminato. La poca luce proveniva dall’illuminazione stradale.  
Gwen si fermò presso una forma oscura nel mezzo della stanza buia, un sofà, e disse, “È arrivato Jim, e ha portato anche il suo amico Mike.”
Mike intravide persone sparse per la stanza, sedute, in piedi, a parlare, a bere, a fumare. Si trattenne dal salutare con la mano. Disse, “Buonasera a tutti.” Si aspettava un mormorio echeggiante di ritorno, ma non arrivò. 
I rumori di festa ripresero il sopravvento. Mike si mise ad ammirare Gwen nella luce della finestra. Non si sentiva a suo agio. Gli sembrava scortese fissare persone che non lo potevano vedere. Persone che, a parte Jim Snate, non sapevano che lui li poteva vedere. Si era trasformato nell'uomo invisibile.
Jim andò a parlare con due donne e un uomo che stavano in piedi in un angolo del salone. Gwen chiese se Mike voleva bere qualcosa.
Gli occhi di Mike si erano abituati alla penombra. Guardò le dita di Gwen scorrere su un piattino di limoni tagliati a fette, un secchiello di ghiaccio, bottiglie. 
“Jim non mi ha mai parlato di te, Mike. Da dove vieni?”
“Sono di Chicago.” Era vero, ma era arrivato da lì venti anni prima. 
“E sei un collega di Jim?”
Mike non aveva idea che lavoro facesse Jim. Evidentemente però guadagnava bene. Disse, “Lavoro alla radio. Una specie di disc-jockey, direi.”
“Lo diresti?”
“Beh, faccio un programma di Blues.”
Gwen sembrava davvero interessarsi. Mike sapeva che la radio è come la televisione per i ciechi, che una parte del suo pubblico era di persone non vedenti, anche se nessuno di quelli che telefonavano in studio si erano mai presentati come tali. Gwen disse, “Allora aiutami a sciogliere l’atmosfera.”
Mike cercò e prese il braccio di Gwen.  
Gwen aveva tanti dischi. Le copertine portavano etichette autoadesive nere, crivellati dalle puntine bianche del Braille. Gwen prese la mano di Mike e lo portò verso una cassa alla sua sinistra. “Il Blues inizia qui,” disse lei, sorridendo alla  parete dove non erano appesi né quadri né niente. 
Mike fece finta di leggere le etichette in Braille mentre guardava le copertine. “Uhmm...hai un ottimo gusto.” Gli parve di poter assaporare le dita di Gwen nel cocktail che lei gli aveva preparato.
Scelse un disco. Gwen gli mosse la mano sul braccio per prenderglielo. Manipolò i tasti, pulsanti e manovelle del suo impianto stereofonico, tolse il disco e lo rimise per bene al suo posto. Gli altri ciechi continuarono a parlottare, ma non abbastanza forte per capire quel che si dicevano.
Gwen lo condusse a un sofà in un angolo del salotto e si assicurò che lì ci fossero due posti liberi. I loro volti quasi si toccavano. Mike sentiva l’alito di Gwen, e il profumo dei suoi capelli.
Gwen gli chiese come aveva conosciuto Jim. Mike stava per dire che erano amici dai tempi dell’università, ma forse Jim e Gwen erano stati insieme all’università per davvero. Disse, “Oh, siamo vecchi amici, Jim e io.” Sembrò bastarle. Si misero a parlare di musica e di Chicago, dove Gwen non era mai stata. 
“Ehm, scusa...dov’è il bagno, Gwen?” Aveva bevuto diverse birre, prima.
Lei gli prese la mano, gli fece strada. Gwen s’imbatté in un uomo cieco molto grasso. Risero. 
Mike si ricordò di non accendere la luce, benché trovarsi nella stanza da bagno di una donna cieca lo incuriosiva. 
Uscì, e Gwen lo stava aspettando. Lo ricondusse nel salotto. Preparò ancora da bere, e lo presentò a un signore che faceva il chitarrista. Mike si divertiva a fare l’uomo invisibile. Vide Jim Snate che parlava con due donne, facendole ridere a squarciagola. Mike si domandò se si balla alle feste per soli ciechi. Voleva ballare con Gwen, ma lei faceva il giro, parlava con tutti, preparava da bere a chi aveva il bicchiere vuoto. 
Che effetto fa essere ubriaco se sei cieco, si domandò Mike, e chiuse gli occhi.
S’imbatté in qualcuno e li riaprì subito. Davanti a lui c’era una donna che non aveva occhi. Lei si mise a ridere per prima, a bocca aperta, le palpebre chiuse, piatte. Mike si mise subito a ridere anche lui, un riso forzato, insincero, ma la donna senza occhi non sembrò accorgersene. 
Più tardi, Mike tornò nella sala da bagno di Gwen. Qualsiasi cieco in gamba l’avrebbe saputo ritrovare da sé. Questa volta accese la luce. Gli asciugamani di Gwen erano bianchi, di un tessuto denso e morbido, odoravano di pulito. Non c’era una di quelle tendine per la doccia col disegno divertente. Mike aveva appena aperto la dispensa delle medicine quando sentì bussare alla porta.
Si bloccò e smise di respirare. Non aveva chiuso a chiave la porta, non lo faceva mai. Entrò Gwen. I suoi begli occhi blu non riuscivano  a distinguere che c’era una luce accesa, là dentro. Paralizzato, Mike guardò Gwen alzare il bordo del vestito. Niente mutandine. Gwen sfiorò con la mano il coperchio della toilette e si sedette, il viso impassibile. Mike aspettò lo scroscio prima di fare un passo indietro per posare i piedi sullo scendibagno che sembrava un ritaglio di orso polare. Lei, quando ebbe finito, si lavò le mani. Le donne lo fanno sempre. 
Gli venne proprio vicino. Avrebbe potuto darle un bacio. Come avrebbe reagito, se avesse saputo di essere spiata a quel modo? Si domandò se quel che aveva appena fatto era voyeurismo o qualcosa di peggio.
Mike guardò Gwen che si rassettava il vestito, prima di uscire. Respirando forte, lasciò passare alcuni minuti, poi la seguì.
Scorse nella penombra i capelli di Gwen. Stava rifacendo ordine al tavolo adibito a bar. Si avvicinò, le toccò la spalla, fece un complimento sul vestito. Concentrò la sua attenzione su di lei, cercò di essere galante, affascinante, simpatico, come Jim Snate. Cercò di farla ridere. Nessun altro stava ballando, ma la invitò comunque a ballare. Non importava che non sapesse ballare, o che non aveva ritmo. Si strinsero e cominciarono a girare lentamente.
Alcuni ospiti iniziarono ad andare via. Salutavano ad alta voce mentre si dirigevano all’armadio dov’erano appesi i cappotti, che prendevano secondo il tatto, oppure contando le grucce.
Jim Snate se ne andò rumorosamente con le stesse due donne con le quali era rimasto a chiacchierare così a lungo. Appena furono usciti, Gwen disse, “ Mike…ma non stai a casa di Jim, stasera?”
“Ehm, no… sto all’hotel Kranepool. Ci ospitano lì, per una conferenza sulla radiofonia.”
“Ma è da tutta un’altra parte. Rimani da me, se vuoi.”
Quando si trovarono soli, cominciarono a baciarsi sul sofà. Mike tenne gli occhi chiusi e lasciò scorrere le mani.
Lei si tolse il vestito nella camera da letto. Semplicemente se lo sollevò sopra la testa e lo sistemò su una sedia. Mike le mise le braccia attorno alla vita. C’era una finestra. Ci stavano davanti, abbracciati. Le persiane non erano state abbassate. Mike si tirò un attimo indietro per vederle i seni nella luce fievole.
Lei inspirò forte. “Mike. Tu ci vedi.”
Mike non sapeva cosa dire. 
“Pensavo che tu fossi rimasto nel bagno per sentire...mi sembrava originale.” Lo toccò di nuovo, dappertutto. Forse era cambiato, ora che lei sapeva che poteva vedere? Mike, meno invisibile di quanto avesse pensato, si lasciò toccare, palpare, come se fosse un libro che Gwen leggeva. 
Gwen cercò con una mano l’interruttore della luce, lo fece scattare. Ma il buio non si disperse. Gwen non sapeva che era rotta, la lampadina. Mike non disse nulla. Lei voleva essere generosa, voleva mostrarsi a Mike, che poteva vedere.
“Sei così bella, Gwen.” Pensò che molti uomini glielo dovevano avere già detto.
Lei si sdraiò sul letto, si allungò. “Dimmi...perché sono bella?”
Mike la guardò. Avrebbe voluto la luce. Vide una sagoma, un’ombra. Disse delle parole sulle nuvole, sui monti, sulle fragole con panna, le chiome di animali, frutti maturi—parole forse senza senso per Gwen, che però voleva sentire comunque, parole in un libro che sembrano importanti ad una persona che non sa leggere.

Pubblicato nella versione in inglese su:  Matthew Licht, "The Moose Show" (Salt Publishing, 2007)

Matthew Licht 

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