Stanza 251

mercoledì 7 marzo 2012

Futuro incerto

Apro gli occhi. So che un qualcosa mi ha svegliato. 
Mi metto a sedere sul letto e per un attimo ascolto il leggero russare della donna accanto a me, non la conosco che da qualche mese, ma è rimasta questa notte, ha portato uno spazzolino ed almeno tre ricambi per la biancheria: l’intenzione è quella di rimanere per molto tempo. Le ho consigliato io di farlo, forse troppo stanco di sentirla sgattaiolare di corsa la mattina presto per tornare nel suo appartamento a fare una doccia, quando le ho parlato ero convinto che fosse una buona idea. 
Mi volto appena per scrutare quel profilo aristocratico, lo conosco bene ormai e persino nella sola illuminazione di una persiana socchiusa, riesco a riconoscerne il labbro superiore appena troppo sporgente, la zigomo spigoloso e quella fossetta sul mento. Oppure è la mia immaginazione e mi sto abituando? 
Sono completamente sveglio, consapevole che l’unica cosa che mi ha svegliato è quella certezza tremenda ed allo stesso tempo euforica che siamo arrivati al punto di non ritorno. Tornare indietro ora non sarà possibile se non pagando un prezzo sempre maggiore, accettarla in questa mia vita, oltre che in questa casa, metterà fine alle incertezze: dichiarerà questa storia qualcosa di più che una delle tante tresche che ho avuto in precedenza. La consapevolezza che devo prendere realmente una decisione mi provoca un brivido e mi fa credere di non essere in grado di amministrare questa nuova situazione, come un bambino mi ritrovo a pensare che non voglio responsabilità, ma solo i vantaggi di quello che vedo in questo letto. Una donna gradevole ed affabile può essere disposta a diventare un oggetto? Io sono disposto a diventare un mostro, trattandola come tale? Oppure questa sorta di sacrificio può diventare qualcosa di più e crescere? Tra dieci anni potrei guardarmi indietro e vedere di nuovo questa notte e pentirmi oppure riderci sopra, ma sono sicuro che ci sarà sempre il rimpianto di non aver provato l’altra strada, quella stessa curiosità opprimente che guida gli uomini l’infinito ed impalpabile ‘se…’ 
Non riuscendo a coricarmi per dormire decido di alzarmi e vago privo di meta per l’appartamento, incerto come un bambino davanti al frigo dei gelati, senza rendermene conto mi ritrovo seduto fuori in balcone, l’aria di fine estate non sembra affatto infastidirmi e quel silenzio etereo della periferia mi fa sentire quasi un alieno, tutto solo seduto in terrazzo in piena notte e con una grandissima voglia di vomitare la cena. L’icona del maschio deciso e pronto a prendere le proprie decisioni non mi è mai andata a genio: tutti si aspettano sempre che quello stereotipo venga rispettato, eppure io sono tutto il contrario di quello che dovrei essere. Qualcosa di terribilmente sbagliato deve essermi cresciuto dentro facendomi dimenticare quello che devono fare gli uomini di fronte a certe scelte, ma se non sono mai stato uno dei tanti, allora non voglio neanche immaginare quanto possa essere contorta e priva di senso una realtà senza dubbi ed incertezze, dove la mia convivenza con un’altra persona non sarebbe stata tanto in forse. 
Con un sospiro fisso un’auto che dal proprio parcheggio all’inizio del lungo viale, si sposta e facendo manovra sfreccia via, forse per portare al lavoro il proprio occupante, ma sono certo che l’alba è ancora lontana, quell’uomo è un turnista di certo, nessuno si alzerebbe nel cuore della notte per fare qualcosa di più che rispondere ai bisogni fisiologici del proprio corpo oppure per risolvere questo dannato inghippo esistenziale. 
Senza neanche rendermene conto i miei occhi cominciano a contare le persiane chiuse, quelle a libretto e le poche spudoratamente aperte, come ogni macchina efficiente che si rispetti la mia mente ha trovato un modo per dimensionare questo stupido quesito esistenziale, rapportandolo ad un problema numerico e statistico, analizzabile e confutabile, specie visto che la quantità di persiane chiuse si alza drasticamente allo scendere dei piani dei palazzi. Tutto questo riesce a distrarmi dal problema per un tempo sufficiente a farmi credere che sia finito tutto, che i dubbi siano solamente delle nebbie indistinte, ma come la statistica è completa ed i dati immagazzinati, la mente torna a quello che devo decidere della mia presunta convivente, della mia vita e dell’idea di stare definitivamente insieme a qualcuno. O almeno a provare. 
Sento in me di nuovo quel conflitto inesauribile, essere dominato da qualcosa di intangibile è una vera e propria tortura, tanto che non riesco a percepire neanche l’alba che arriva come un muro di luce, inesorabile e magnifica, nella sua limpida potenza. 
Braccia calde ed esili si posano intorno alle mie spalle e mi stringono. Un sussurro, quel commento incuriosito, una voce che ho imparato ad apprezzare, la fossetta del mento che si unisce alla mia pelle, i capelli profumati e la sensazione di non essere più un alieno in quello scenario ancora etereo mi spingono a chiedere con un filo di voce – Resterai? – la risposta non ha voce, non fa rumore, non provoca alcun dolore e nessun rimpianto, solo un sorriso luminoso come quel mattino. 

Lerigo Onofrio Ligure

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