lunedì 26 marzo 2012

Aveva l'affanno?

Questa salita è maledetta, pensa Emma ansimando mentre arranca lungo la ripida strada che si inerpica sulla collina urbana, mi sa che in cima non ci arrivo. Prima, sputo un polmone. L’affanno le sale in gola insieme al battito del cuore irregolarmente accelerato, la sensazione è di stare per esalare-l’ultimo-respiro come dicono gli amanti dei modi di dire, sì ma modo di dire un cazzo, qui tra poco ci resto stecchita. E dire che una volta scalavo le montagne, non tanto per dire ma tanto per fare; arrivavo in cima stravolta ma felice, mi sdraiavo sullo sperone più sporgente e mi godevo il mondo ai miei piedi. Mannaggia ai modi di dire, ti scippano la poesia, la parola, la vita. Ma com’era bello sfidare l’attrazione del vuoto e starsene appesa lì, inusuale decorazione umana della vetta appena raggiunta, col vento sul viso che seccava il sudore, il respiro breve che stentava ad allungarsi, il cuore che ruzzolava vivace nel petto… appunto il cuore, quel maledetto. Adesso non è manco capace di portarmi in cima a questa breve salita, mi preme nel petto, mi taglia il respiro, mi lascia per strada. Maledetto.
Domani ho il controllo, che palle, lo odio, pensa. Ma come fanno a chiamarlo controllo se non sanno se il mio cuore continuerà a battere, non dico oggi, ma per ipotesi, domani? Che razza di controllo è? Faccia-quello-che-si-sente-di-fare-senza-sforzarsi-troppo-ci-rivediamo-fra-tre-mesi, immancabile sentenza-non-sentenza che riesce in un solo colpo a gettarti addosso tutta la responsabilità nei confronti del tuo stesso cuore. Quasi pensassero che l’hai fatto apposta ad ammalarti perché non avevi altro di meglio da fare.
Sa, mi stavo annoiando quindi ho pensato di correre fino a farmi scoppiare il cuore.
Sa, mi stavo annoiando quindi ho pensato di saltare fino a farmi scoppiare il cuore.
Sa, mi stavo annoiando quindi ho pensato di nuotare fino a farmi scoppiare il cuore.
Sa, mi stavo annoiando quindi ho pensato di fare capriole fino a farmi scoppiare il cuore. 
Potrei continuare fino alla fine dei tempi.
Sa, non sapevo che fare quindi ho pensato di invitare un virus a farmi scoppiare il cuore. Ed il virus mi ha preso sul serio, è venuto, ha fatto il suo lavoro, in modo impeccabile per la verità, poi se n’è andato. Peccato che abbia dimenticato di avvisarmi, altrimenti sarei corsa ai ripari ed avrei evitato di sentirmi dire: - Come  mai si presenta in questo stato? Il suo cuore è molto malridotto! Non poteva venire prima? -
Prima di che?
Di arrivare a questo punto.
Non me ne sono accorta.
Come, non se ne è accorta?
No, prima stavo bene.
Prima di che?
Di sentirmi male.
Ed i controlli, allora?
Ancora co ‘sti controlli. Ho fatto quelli canonici. Tagliando annuale dal ginecologo, mammografia, visita alle ginocchia per via dei menischi usurati…
Vabbé, andiamo avanti. Il cuore perché non l’ha controllato?
Perché non ce n’era motivo.
Chi l’ha stabilito?
Il mio medico di base.
E lei si è fidata?
Non avrei dovuto?
... Come se n’è accorta?
Non scalavo più le montagne.
Prego?
Non salivo più le scale.
Ah, ecco. Aveva l’affanno?
Sì.

Anche adesso ce l’ho, prof, pensa Emma, e questa non è altro che una misera salitella asfaltata che mi porterà alla casa in cui ho scelto di vivere molto prima che tutto questo accadesse. E dove non ho scelto di finire segregata a guardare il soffitto anziché uscire tutte le mattine per andare al lavoro. 
Perché quando il prof ha sentenziato che voleva vederci chiaro, poi, l’ha ricoverata d’urgenza. Non con le sirene e tutto il resto, ma con calma, come si addice ad una neo-cardiopatica, che ne direbbe di restare qui con noi per qualche giorno? Le faccio riservare un letto, potrebbe avvisare i suoi familiari nel frattempo, dovrebbe farsi portare una camicia da notte e…il resto, sa, quello che ci si porta appresso quando ci si ricovera, stia tranquilla, è cosa di pochi giorni ma preferirei averla sottomano, fare qualche indagine, così, tanto per non tralasciare nulla, va bene?
Sì.
E dopo “qualche indagine” durata oltre un mese in cui l’hanno rivoltata come un calzino, ci fosse stato un altro modo di dire Emma l’avrebbe usato, o anche no, ma quello rendeva perfettamente l’idea, si è ritrovata fuori dall’ospedale con un bel pace-maker nuovo di zecca nel torace, un appuntamento per la prossima visita di controllo e senza più un lavoro.
Perché sai, Emma ricorda la breve telefonata del suo datore di lavoro mentre era ancora ricoverata, la tua assenza ci ha creato non pochi problemi. 
Eravamo sotto torchio, ricordi? Avevamo un sacco da fare.
Humm…humm
Appunto, e allora ho dovuto chiedere alla Chiara, te la ricordi? Ha fatto un paio di mesi di apprendistato da noi, mi pare proprio con te, no?
Humm…humm
Per fortuna non aveva ancora trovato un lavoro, una vera fortuna, non credi?
Humm…humm
Beh, insomma, è venuta a studio e devo dire che sei stata bravissima con lei, è proprio in gamba. Certo non come te, tu eri ad altro livello…
Ero?
Beh, sai com’è, dopo quello che ti è successo non posso chiederti di tenere i ritmi di prima, noi pubblicitari dobbiamo trottare tutto il santo giorno e…
E…?
Insomma, volevo dirti che penso sia meglio che ti curi, che stai tranquilla, che ti riposi, ecco.
Quindi non rientro?
Ecco…mi dispiace Emma…
Mi stai scaricando?
Tu-tu-tu-tu-tu, una linea opportunamente caduta aveva fatto eco alla sua domanda.

Ed ora provaci, disse a sé stessa quel freddo mattino di gennaio quando si ritrovò sul marciapiede antistante l’ospedale, a rimetterti in sesto, visto che ti ritrovi senza un lavoro, senza un cuore del tutto tuo, tanto pare che prima o poi te lo trapiantino, con le bollette da pagare, i figli da accudire, i vecchi genitori da tranquillizzare, cinquant’anni, solo cinquanta! da buttarsi alle spalle e… cos’altro? 
Ah, eccomi arrivata a casa, pensa con sollievo. 
Il sole è calato, il cielo trattiene i caldi colori del tramonto ancora per un poco quasi per farla rinfrancare dopo tanta fatica. La mia casa, almeno questo lo posso dire. La mia casa in cima alla collina con tutta la città ai miei piedi, male che vada la vendo. 
Bene che vada dovrò ricominciare tutto daccapo. 
Fa un profondo respiro, gira la chiave nella serratura, apre la porta e poi, piano piano, la richiude lentamente alle proprie spalle.

Maria Gabriella Zampini

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