Un giorno, mentre una farfalla gialla volava svogliata tra la panchina e il fiore turchese del parco giochi della città, l’omino di terra e l’omino di cemento fecero conoscenza.
«Ciao! Io mi chiamo Paolo e tu?» disse il più piccolo dei due.
«Drazen» disse sommessamente l’altro.
«Che nome strano. Da dove vieni?» riprese Paolo.
«Dalla terra Jugo… lontana da qui» rispose impercettibilmente Drazen, scostando con la punta dell’indice il ciuffo castano chiaro che gli cadeva sugli occhi mascherando un timido sorriso.
«Che vuol dire dalla terra?!» esclamò Paolo sarcastico, senza cogliere il significato completo della frase, né aspettando una risposta. «Se tu vieni dalla terra, allora io vengo dal cemento che c’è la dietro! Ti va di giocare?» incalzò nuovamente allungando il viso e spalancando gli occhi nocciola.
«Giucare? Cosa significa gieocare?», Drazen stentava a scandire bene la pronuncia, non era nato lì e non conosceva ancora il significato di molte parole.
«Come “cosa significa giocare”?» si irritò l’omino di cemento «Io faccio una cosa per finta e tu la fai con me».
«Плаи…igrati!» provò a sorridere prima in serbo e poi in croato l’omino di terra.
«Che dici? che intendi dire? mi prendi in giro?». Paolo fissò Drazen come se fosse un extra-terrestre, tanto che per una brevissima frazione di tempo fu sollecitata in lui la prima percezione del significato comunemente dato ai termini normale/anormale, passata la quale, riprendendo in mano la situazione esclamò: «Dai! Giochiamo alla guerra?! Ho due fucili nuovi» e aggiungendo con plateale generosità: «Te ne presto uno».
«No!» obbiettò deciso Drazen incupendosi «facendo la guerra si muore».
«Ma che vai dicendo?! Si può scappare, guarda! Cooosì…» e dopo averlo urtato per farlo cadere, iniziò a correre ondeggiando in modo strategico a destra e a sinistra, buttandosi improvvisamente a terra strisciando, per sparare senza rischiare di essere colpito «Pum pum…corri dai! Spara spara!».
«No! La guerra non è cosa finta! Si piange e si resta soli» disse Drazen deglutendo con severità due singhiozzi e gettando sprezzante il fucile a terra.
«Ma dai! Finito il gioco si vive ancora. È impossibile che tu non ci abbia mai giocato!»
«Io ho visto che mettono gente con occhi chiusi dentro a fosse nella terra…e poi… poi non vedi più nessuno di loro. Cadono tutti uno sopra altro con la terra sopra» disse Drazen senza respirare, con gli occhi asciutti e vuoti: «e quelli che piangono oggi, domani sono messi dentro con altri morti».
«Non mi piaci. Sei cattivo: tu vuoi farmi paura!» si arrabbiò Paolo pronto ad allontanarsi con la spalla destra, ma trattenendosi testardamente con il piede sinistro e puntandosi il fucile sotto alla gola: «Guardami! Ora mi sparo, cado a terra, chiudo gli occhi, non respiro e se mi chiami non rispondo, fino a quando non mi sono stancato di giocare» disse Paolo mimando e scandendo le parole che indicavano l’azione: «Quando si gioca alla guerra si fa finta di morire, non si muore veramente, vedi?!».
«…nemmeno lacrime sono vere?» sussurrò Drazen incredulo.
«No! beh, insomma…può succedere di piangere quando qualcuno non vuole più giocare, perché si riapre gli occhi e ci si trova soli» concluse Paolo testimoniando con orgoglio la propria esperienza.
«Davvero? Dici davvero? È proprio così? Allora scusa, io devo correre a mia casa per telefonare. Non voglio sapere che mamma e papà piangono quando riaprono gli occhi» disse Drazen visibilmente sconvolto.
«Cosa vai dicendo? I genitori non piangono se non giochiamo con loro. Devono andare a lavorare. Fanno solo finta di dormire per non sentire, per non rispondere…» disse Paolo con sufficienza bloccando Drazen che stava correndo via.
«Perché fanno finta di non sentire?!» chiese Drazen alzando la voce e divincolandosi dalla presa di Paolo: «Quando la mattina di spari e fumo mi sono alzato sordo, ho chiamato tanto…Urlavo sai?…No uno sorriso… fermi, immobili, con occhi chiusi. Papà era tornato la sera prima. Nonna ha tirato subito me via da loro letto e spedito qui veloce con altri bambini, lontano da loro».
Paolo continuava a non capire e per consolare il piccolo amico che aveva iniziato a piangere riuscì solo a dire con tenerezza «Vuoi giocare o no?».
«Sì» bisbigliò Drazen «Ma se io uccido te, rispondi anche morto, vero?».
La farfalla ricominciò a volare disordinatamente, tanto da giungere a sfiorare lievemente la guancia sinistra del bambino. Drazen, grattandosi il viso, fece scivolare inavvertitamente le lacrime che, cadendo sul palmo della mano destra di Paolo, ebbero il potere di ammorbidire il cemento e di consolidare la terra: «Noi siamo amici ‘in guerra’», dissero gli occhi all’unanimità, come a stabilire un’alleanza.
Roberta De Piccoli
Molto bello e intenso. Come al solito anche originale, soprattutto per quello che riguarda il rapporto gioco/realtà nella mente di un bambino.
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