mercoledì 7 settembre 2011

Cetinje. Tra tigli in fiore e busti in bronzo

Solo attraverso una strada tortuosa, che la si prenda da Budva o da Kotor, due delle più famose località di mare del Montenegro, si arriva a Cetinje, l’antica capitale del piccolo paese balcanico.
Ci si arriva dopo una infinità di curve, e la città spunta discretamente appoggiata su un altopiano, ai piedi di un contrafforte di roccia minaccioso, sotto al quale sorge un monastero ortodosso.
Cetinje ti accoglie subito, se la visiti di giugno inoltrato, con un profumo di tigli in fiore che ti travolge, inaspettato, appena esci dalla macchina. Chissà cosa doveva essere qualche decennio fa, in pieno oriente modernista, prima delle guerre mondiali, prima di tutto quello che il 900 si è lasciato alle spalle, questa piccola cittadina dall’aria rarefatta, fresca di montagna e ombreggiata di grandi alberi nei viali.
Viali. Cetinje si aggiusta nella sua piccola valle lungo pochi viali. La lunga via Mljanova che dall’ingresso della città porta al piccolo parco, dove trovare rifugio e fresco nel caffè allestito sotto gli alberi. Qui i bambini d’estate giocano a biliardo, scatenando una competitività fisica che rapisce, abituati come siamo a veder giocare bambini con la wii o il nintendo. Giocano fuori, all’aperto, tra gli alberi, a nascondersi dietro a busti in bronzo che ritraggono eroi e poeti nazionali, con targhe in cirillico, tra giochi di luce e ombra da foresta incantata. 
I raggi del sole sull’occhio nero, recita la poesia di Velimir Chlebnikof, versi che immediatamente mi tornano alla mente mentre guardo il volto esuberante da realismo sociale che se ne sta bronzeo tra le foglie di ippocastano.
Subito dopo la Prima Guerra Mondiale Cetinje viene abbandonata. Troppo stretta tra le montagne per garantire quell’espansione da capitale balcanica che si doveva alla città montenegrina. Sarà scelta Podgorica. Oggi, a dispetto delle aspettative, tranquilla e silenziosa cittadina posta a qualche decina di chilometri andando verso nord-est.
Da allora la città di Cetinje, poco più di 15000 abitanti, avanza una grandeur che ristagna, una anziana signora che porta i vestiti da ragazza che indossava la domenica.
Si respira un’aria rarefatta, di abbandono, di fuga imminente e già accaduta: la sindrome Chernobyl sembra voler stringere d’assedio questi viali, le vecchie villette, un tempo sede di ambasciate, oggi svuotate di funzione sono tornate ad essere della città: nella vecchia ambasciata inglese si suona e si impara a suonare, oggi è il conservatorio, e dalle finestre se ci si ferma, mentre due contadini falciano il fieno nel giardino, si può ascoltare il Concerto in mi maggiore per violoncello di Shostakovich.

Enrico Bianda (testo e grafica)

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