mercoledì 31 agosto 2011
Recuerdo
Ricordo il camion di legno giallo con nonno Comollo che lo tira per il cordino e io seduto sopra che tengo al guinzaglio Diavolo, il nostro volpino nero.
Ricordo i giardinetti di Piazza Cavour a Torino con ancora i segni del fascio e le vasche piene di sabbia. Ricordo le macchinine di legno a pedali che lì si prendono a noleggio.
Ricordo la prima volta che dico “papà” e non ci azzecco per niente, perché chiamo così nonno Comollo. Lui e la mamma si guardano e si mettono a ridere. Non so come, ma vedendo le loro facce, capisco che ho detto una cazzata.
Ricordo nonno Comollo mentre mi canta A Porta Inferi come ninnananna e poi zio Nito mentre fa pipì nel gabinetto che c'è sul ballatoio.
Ricordo l’altro zio... di quando non è ancora mio zio e lo chiamo “testa pelata”; abita di fronte a noi, dall'altro lato del cortile di Via Principe Amedeo, al primo piano proprio sopra la panetteria, ma sebbene mi piace l’odore del pane che viene da quella parte, "testa pelata" non mi piace per niente.
Ricordo i carri di carnevale che sfilano in Piazza Castello e io sto in braccio a nonno Comollo e ho i capelli biondi che mi arrivano fino alle spalle.
Ricordo quando in piscina io e la mamma camminiamo lungo il bordo della cinque metri. Lei mi tiene per mano e ha il suo costume da bagno intero, quello a strisce bianche e rosse. Ricordo i due stupidi che si prendono a spintoni a vicenda, solo che poi mancano la mamma e prendono me in pieno scaraventandomi dentro l'acqua della cinque metri. Ricordo la mamma che dal bordo urla perché qualcuno mi tiri fuori, ché lei non sa nuotare. Non ricordo però la faccia di quello che mi ha tirato fuori.
Poi mi ricordo di quando io e nonno Comollo sgusciamo fagioli in cucina oppure i giochi con le costruzioni che faccio da solo sul pavimento ricoperto di linoleum rossa. Ricordo che la casa di nonno Comollo è una mansarda e ha un letto letto che è grande come il mare e sotto le coperte io mi ci nascondo.
Ricordo il negozio Gioia dei bimbi sotto i portici di Via Po e la meraviglia che provo davanti alle vetrina.
Ricordo nonno Comollo in canottiera e berretto che legge il giornale con la lente d’ingrandimento.
Ricordo i tranvai con le carrozze di legno a due vetture: salire su quella di dietro è più divertente che su quella davanti. Ricordo la delusione che ho provato quando hanno cominciato a sparire.
Ricordo quando mio padre non è ancora mio padre e viene a casa a prendermi per portarmi ai baracconi di Piazza Vittorio. Ricordo che lo aspetto dal balcone e chiamo Veio con quanto fiato ho in gola. Tutto insieme il suo nome è Elverio, mentre la mamma lo chiama Elvi.
Ricordo quando una sera Elverio mi porta in bicicletta al Valentino a vedere la fontana luminosa. Per non so quanti anni ho avuto il dubbio di essermela sognata.
Ricordo quando Elverio mi porta a vedere la casa di Via Oslavia mentre ancora sta dando il bianco. Ricordo che mi viene fame e lui mi fa il pan fritto.
Ricordo l’abito da sposa della mamma che è ancora nel cellophan.
Ricordo quando noi tre diventiamo una famiglia e andiamo a stare davvero in Via Oslavia. E dal balcone di cucina si vede il Po e tutta la collina, mentre da quello della camera si vede Superga: che fa bello si riesce a vedere anche il Monte Rosa e tutte le altre montagne intorno
Ricordo che un po’ sto con i miei in Via Oslavia e un po’ nella mansarda di nonno Comollo di via Principe Amedeo.
Ricordo quando mi mettono a dormire da solo nel mio letto, che ha le sponde di legno, e siamo andati a comprarlo a rate alla FARD.
Ricordo il mio primo incubo: un bastone piantato in mezzo a un mucchio di sacchi neri come quelli dell’immondizia con una zucca vuota infilata sopra. Intorno ai sacchi non c’è niente e io sono la zucca vuota.
Ricordo Elverio e la mamma che si inseguono per casa intorno al tavolo di cucina. Li ricordo mentre ridono e si baciano.
Ricordo quando io e Elverio andiamo con la bicicletta ad aspettare la mamma all’uscita della fabbrica dove si fanno le bottiglie di plastica.
Ricordo Elverio nudo mentre fa il bagno dentro la vasca.
Non ricordo quando ho cominciato a chiamarlo papà.
Ricordo quando ho messo il gatto nel forno e il forno acceso, oppure l’ho acceso io. Ricordo quando Elverio lo ha liberato aprendo lo sportello con il manico della ramazza e il gatto è scappato sul per i tetti della casa vicina. Ricordo quando Elverio è dovuto andarlo a prendere perché il gatto non sapeva più come tornare.
Forse Elverio lo chiamavo papà già da un pezzo.
Ricordo quando nonno Comollo si ferma a Largo Belgio a parlare con quello che vende i giornali e io rubo un disco di plastica verde: Il tedesco in ventiquattrore.
Ricordo quando al cinema Belgio fanno vedere un documentario dove giapponesi in divisa seppelliscono vivi mucchi di cinesi che stanno con le mani alzate. Ricordo gli occhi di quelli nella fossa mentre il bulldozer gli rovescia addosso la terra e poi comincia a passarci sopra con i cingoli. Ricordo che ho urlato perché mi portassero via e la mamma che diceva che tanto ero piccolo e non capivo ancora niente.
Ricordo l’asilo, anche se ci sono stato per un giorno solo.
Ricordo che per spiare la mamma in bagno dal buco della serratura devo prendere la sedia e salirci sopra. E che meraviglia vederla mentre si lava! Ricordo i suoi seni, che sono bellissimi.
Ricordo il primo giorno di scuola e la mia maestra è una suora.
Ricordo come sto male in quella scuola.
Ricordo che per far vedere al mio compagno di banco come sono fatte le donne sotto ne disegno una di profilo e in cima alla tetta disegno un capezzolo che somiglia più a un chiodo o un tappino salvagente.
Ricordo che la suora se ne accorge e vuole che vada alla cattedra a farle vedere il quaderno.
Ricordo che a vedere il mio disegno diventa tutta rossa, grida e mi tira uno schiaffone.
Ricordo che non capisco il perché e davanti a lei ce la faccio a non piangere.
Ricordo quando tempo dopo mi si rompe lo stantuffo della stilografica allagando d’inchiostro il quaderno di bella.
Ricordo che anche per quello ho ricevuto un altro schiaffone.
Ricordo che durante la ricreazione gioco malvolentieri assieme agli altri: perché si mettono tutti in cerchio intorno alla suora e lei tira la palla ora questo, ora a quello e loro gliela rilanciano.
Ricordo che sto sempre da solo in un angolo del giardino e intanto prego la madonnina perché mi faccia stare a casa malato, e ogni volta che la prego l'indomani mi sveglio con la febbre.
Ricordo quando mi operano di tonsille e quelli col camice bianco mi legano con delle grosse cinghie a un seggiolone: che è come la sedia elettrica che hanno fatto vedere in televisione.
Ricordo quando la nostra classe va, insieme a tutte le altre prime di Torino, in visita dal vescovo.
Ricordo lo stanzone pieno di stucchi dorati, il pavimento a liste di legno e i finestroni senza tende.
«Alzi la mano chi sa che cosa è successo ieri...» dice il vescovo.
Siccome è la terza o quarta volta che lui fa una domanda e tutti alzano la mano, decido che stavolta la alzo anch’io.
Ricordo il terrore che m'è preso quando ho scoperto che ero stato il solo ad alzare la mano.
«Tu là in fondo...», dice il quello, là davanti, rivolto a me che sto qui in fondo. «Di’ al tuo vescovo che cosa è successo ieri...»
Ricordo che le gambe che mi sono diventate molli e la suora, subito dietro di me, con le cinque dita della mano distese, pronte per un altro ceffone, che mi gridava sottovoce: «Avanti, dillo al vescovo che cosa è successo ieri...»
Ma il vescovo non aveva poi tanta voglia di aspettare che a me mi si sciogliesse la lingua e ha detto: «Ieri è morto Fred Buscaglione».
Lo sapevo! ricordo di essermi detto.
Riccardo Subri
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