venerdì 17 giugno 2011

Il tradimento

Quando entrò in casa, aveva il fiato corto e sentiva il cuore sbattere con violenza contro i bottoni della camicia. Non aveva preso l’ascensore, pensando che le tre rampe di scale avrebbero potuto in qualche modo lenire l’ansia. Non era così. Si sentiva pesante e senza saliva, come se avesse delle pietre nelle tasche e nella gola.
Sua moglie era in cucina, nella loro grande cucina immacolata e asettica di ciotoline bianche e tessuti di crema. Aveva sorriso, sentendolo entrare, e continuava a sorridere in modo tenero, pallida e tenera come una pesca appena uscita dal fiore. Stava mescolando qualcosa di un verde gemma a cui univa a poco a poco un trito di ghiaia finissima di mandorle. O nocciole o anacardi, non aveva mai capito bene la differenza. Sul tavolo apparecchiato per due, foglie fragranti di un’erba sconosciuta, gherigli di noci in una coppetta, e altre coppette piene a metà di composti simili a semolini, a sassi, a fiori seccati.
Deglutì a fatica.
Riconobbe tronchetti di palma e gli arabeschi della rucola mischiati ad un cespuglietto di semi di soia che in bocca, ci pensava sempre con orrore, gli davano la sensazione di deglutire degli embrioni.
Sorrise anche lui ad Annabella, bella come recitava il suo nome. Magra, flessuosa, morbida, profumata. Colta, sensibile, attenta. Erano sposati da due anni e mentre era in studio, a progettare ambienti ecosostenibili, tremava di desiderio al solo pensiero del profumo di lei, del suo modo di parlare, della curva della sua spalla. 
A pensarci, aveva sempre la sensazione che prima di lei nella sua vita non ci fosse stato nient’altro. Da misero architettucolo alle dipendenze di pseudo ingegneri edili che non sapevano distinguere il cemento dalla scagliola, lei l’aveva trasformato in un uomo migliore, che creava case e tetti e interi isolati e quartieri nel rispetto della natura. Teneva conto del sole, ora, e dei venti e del suolo. Pensava alla terra, ora, all’aria: ne sentiva il grido d’aiuto, cercava i rimedi e progettava per tutti una vita migliore.
Annabella lo aveva convertito a lunghe tonificanti sedute di yoga, che avevano a poco a poco preso il posto del calcetto (non gli mancavano per niente quelle serate di corse e contrasti e sudore e lo spogliatoio gravido di calze bagnate e battute volgari su sesso e sport), offrendogli la quiete ed il respiro. Gli aveva donato notti e notti del suo corpo liscio e perfetto, che aderiva pienamente e totalmente al suo, come fosse un’altra pelle più morbida e setosa. Era più chiara l’aria intorno, da quando aveva lei. E la sua vita ed il mondo intero erano migliori.
Da quasi un anno erano diventati entrambi vegani. Appena dopo il matrimonio avevano cominciato a non mangiare più carne, poi neppure il pesce. Poi, a poco a poco, inesorabilmente, erano spariti dalla tavola e dalle loro vite ogni tipo di derivato del latte, compresi naturalmente tutti i formaggi, il gelato, i cappuccini schiumosi del bar, le uova, il miele, un sacco di altri alimenti che non erano sani, che avrebbero in pochissimo tempo inquinato il loro sangue ed i loro pensieri, che li avrebbero resi due persone rabbiose e aggressive e violente. 
Stava bene, in fondo, così. Il suo fisico era perfetto. Era amato, amava, non aveva mai avuto niente da dire, neppure un piccolo litigio, neppure un banale malinteso. Viveva bene, sorrideva. Lui e sua moglie non avevano un filo di grasso, si muovevano in armonia con loro stessi e con il mondo intero.
Lui amava Annabella, non poteva vivere senza di lei.
Eppure, quella sera l’aveva tradita.
Le pietre che sentiva in gola si sbriciolavano in una sabbia densa e spessa e ferrosa, come la spiaggia di Cecina. Non aveva quasi il coraggio di parlare: temeva che se avesse aperto la bocca quella rena ferrosa sarebbe uscita a fiotti, rivelando il peggio di lui.
L’aveva tradita. Aveva rovinato tutto, lo sapeva.
Il fatto è che non aveva saputo resistere alla folle tentazione che lo aveva afferrato come un vampiro a cui aveva offerto il collo dopo essere stato ipnotizzato. 
Era stato in provincia di Siena, per lavoro: doveva fare certi rilevamenti in un campo coltivato a girasoli nei pressi di Orgia. Anche il nome del villaggio ci si metteva, non poteva far a meno di pensare…
Aveva parcheggiato la macchina appena più in alto, in uno spiazzo accanto ad altre macchine, sulla terra battuta, fra piccoli cespugli. Finito di lavorare, prima del previsto, in verità, mentre riponeva la sua valigetta nel baule, aveva notato un gruppo di persone, saranno state tre coppie, che si dirigevano sciamando verso una trattoria di là dalla strada. Sentiva le loro risate e la fretta un poco ansimante della salita.
Il sole calava fra le colline in un quadro di ombre e squarci di luce, fra cipressi e pini marittimi. L’aria era leggera e buona, sapeva di terra e di ulivi. Gli sembrava di percepire il vento fra i lecci, mentre tutto si colorava di arancio e di viola. Avrebbe volentieri mangiato una fetta di pane con pomodoro e basilico.
Pensò di entrare nella trattoria, seguendo quelle persone, come fosse uno del gruppo un po’ in ritardo. Pane, acqua, olio, pomodoro e basilico. A casa Annabella che lo aspettava. Cosa avrebbe potuto desiderare di più, nella sua vita?
“Trattoria da Cateni”, lesse nell’insegna.
Appena fu dentro, capì subito cosa avrebbe desiderato di più. Capì per cosa avrebbe regalato tutto il pane ed il basilico e tutti quanti gli oleifici di tutta quanta la Toscana. 
Le vide. La vide.
Un piatto sugoso e profumato di pappardelle al cinghiale ed una bistecca fiorentina grande quanto un campo da calcetto, alta tre dita.
Immaginò di arrotolare quella pasta fatta in casa grondante di ragù sulla forchetta, immaginò di affondare quella stessa forchetta nella carne morbida e tagliarla lievemente come fosse burro con quel piccolo coltello dal manico di plastica nera che veniva sempre appoggiato al piatto, come uno strumento in più, oltre al normale coltello di metallo accanto al tovagliolo.
Lo immaginò e lo fece. 
Un grande piatto di pappardelle al cinghiale ed una fiorentina che aveva affrontato con metodo, senza fretta: gli sembrava di non mangiare da mesi. Dopo, quasi senza respiro per la fatica e la colpa che scendevano insieme a quel ben di Dio, prese anche un dolce alle pere e al cioccolato, che gli fu servito caldo e che sapeva di forno e di sole e di tutti i nettari di tutte le api della Maremma.
Non avrebbe mai dimenticato quei momenti sublimi. Da quella sera in poi, avrebbe potuto anche ingoiare mandorle e biscotti ai cereali e cus cus fino alla morte, ma non avrebbe mai dimenticato quei momenti.
Ora era a casa. Si sentiva pesante come il suo stomaco, sporco e ansimante.
“Com’è andata oggi?” gli chiese Annabella con un sorriso tenue che le invadeva la bocca e gli occhi. 
“Bene. Ho finito il lavoro.”
“Sempre tra i girasoli?”
“Sì. Verso il tramonto, però, è comparso anche qualche cinghiale.”
“Cinghiali? Nei dintorni di Siena?”
“Sì. E anche un paio di vacche. O forse erano vitelli. Molto grossi, però.”
Annabella sorrise. Gli mise nel piccolo piatto un insieme di semi conditi con un insieme di pappine verdi e gialle. Il sapore era quasi disgustoso.
Lui ricambiò il sorriso, sentendosi già meno, molto meno in colpa.  


Alessandra Burzacchini

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